SERVE UN VERO SINDACATO O TANTI PICCOLI COMITATI?
Lavoratori,
come noto, nel mondo, il processo produttivo comporta due distinte categorie, i “venditori” di mano d’opera e i “compratori”. Per evidenti motivi gli interessi di una sono direttamente opposti a quelli dell’altra. Accomunati dagli stessi interessi economici i venditori spinti tra l’altro dalla necessità di non poter esimersi dal vendere, hanno iniziato nel tempo, attraverso l’aggregazione ad associarsi dando vita al movimento di difesa degli interessi dei lavoratori: il Sindacato. Questo elemento fondamentale di tutela dei lavoratori, è frutto di lotte che nel mondo ancora oggi spesso sono causa di violenze verso i suoi attivisti, le sue caratteristiche rivendicative sono relative al grado di sviluppo socio-economico del paese in cui agisce.
In paesi che abbiano raggiunto da tempo una notevole maturità industriale con la conseguente ricchezza economica e in cui anche i lavoratori abbiano conseguito buoni livelli nei diritti, si sviluppa contemporaneamente, non di rado, il terreno della passività sociale (ad es. bassa sindacalizzazione), e il frutto, da più parti, viene avvelenato. Da un lato con sindacati tesi ad ammansire la lotta piuttosto che a praticarla o tesi a passare con disinvoltura dalla parte dell’avversario (si diventa magari ministro o candidato in partiti di governo), che inducono alla sfiducia non verso chi, come questi, dimostra la sua natura corrotta, ma verso il significato stesso di Sindacato. Dall’altro lato, con attacchi dei compratori, attraverso le strategie dei propri amministratori, che attecchiscono nel fertile terreno di cui sopra. Una delle efficaci strategie degli amministratori, consiste nella frammentazione, questa colpisce i lavoratori in modo oggettivo quando, ad esempio, una grande azienda pubblica viene spezzettata in tante piccole (ENEL, FF.S. ecc…), dove l’esiguo numero di lavoratori nell’ambito più ristretto rende più difficile la lotta, ma anche, e più subdolamente, in modo soggettivo, attraverso l’istituzione di qualifiche, sottoqualifiche, specializzazioni, specialità; mezzo conforme alla sensibilità unicamente individuale, quel fenomeno cioè, che fa preoccupare solo di quel che accade nella propria ristretta cerchia, Corpo, settore, specialità o qualifica che sia; si punta lo sguardo sulle proprie scarpe infangate e non sollevarlo non permette di capire né in quale punto del pantano ci si trovi né quale direzione prendere per uscirne. È così che chi abbocca con la testa bassa, s’illude che fondando un comitato possa contrastare maggiormente l’attacco dei compratori, i quali all’occorrenza forniscono risposte ufficiali volte ad accreditarli. È ovvio, sono il cavallo migliore per la scissione dei lavoratori, fanno il gioco dell’avversario.
Consapevolmente? Difficile dirlo. Può essere d’aiuto l’analisi dell’identità attraverso la quale ci si mostra all’esterno, contenuti o mostrine? Quali connotati? C’è chi ad esempio promuove idee di aggregazione su carta intestata e chi invece si esibisce con connotati di qualifica conferiti dall’amministrazione probabilmente sentendosene, e confermando di esserne, parte integrante. Allora tutto torna.
È inaggirabile, “siamo i milioni di persone del cui lavoro vive l’intera umanità”, ci perdonino coloro cui abbiamo fatto distogliere lo sguardo dalle proprie scarpe, forse per un attimo, controvoglia, avranno visto altro, come i confini del pantano della competitività (e che è? Diranno!) che sta infangando la dignità dei lavoratori. Togliersi l’amo, purtroppo, è tutt’altra cosa.
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