Sciopero generale, la Cub sfida il liberismo «di destra e di sinistra»
Intervista di Liberazione a Pierpaolo Leonardi che spiega le ragioni della protesta indetta per il 7 novembre
Le rappresentanze di base Cub non sono scese in piazza il 24 ottobre, giorno dello sciopero generale. Diversamente da Cobas e Sin. Cobas hanno deciso di differenziare la loro giornata di protesta e di fissarla il 7 novembre. Questo, naturalmente, ancora prima che i metalmeccanici della Fiom decidessero di far cadere proprio in quel giorno lo sciopero generale per il rinnovo del contratto nazionale. Al grido di "Cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa", le rappresentanze di base sfileranno a Milano (Largo Cairoli, ore 10) per la manifestazione nazionale. Parole d'ordine: contro il governo che attacca pensioni e salari e contro lo smantellamento della scuola, della previdenza e della sanità pubblica, «riaffermare i diritti dei lavoratori e battere la precarietà». Liberazione ha intervistato il coordinatore nazionale Paolo Leonardi. Perché non avete manifestato anche voi il 24 ottobre? La rinnovata unità di Cgil, Cisl e Uil credo sia dovuta soprattutto alla manifesta volontà di Berlusconi di fare a meno dei corpi intermedi. E' una unità, però, che rimane scoperta, per esempio, sulla questione dei metalmeccanici. La Fiom è in seria difficoltà rispetto alla difesa della propria identità di classe. Dentro questa vicenda, il problema dell'unità del sindacalismo di base. Noi abbiamo sempre ritenuto che l'unità del sindacalismo di base fornisse valore aggiunto. E lo hanno dimostrato la riuscita degli scioperi e delle iniziative degli anni passati. Oggi credo che ci troviamo in una fase nuova. E non per volontà delle Rdb e della Cub. Abbiamo fatto un passaggio fondamentale che è stato poco colto, quello di fare della Cub la confederazione del sindacalismo di base, conflittuale e antagonista. Questo fatto ha sparigliato le carte nel sindacalismo di base. Altre formazioni hanno scelto la soggettività politico-sindacale. Questo non elimina la possibilità di fare pezzi di percorso assieme su questioni che unitariamente è possibile affrontare. Ma sicuramente separa i destini. Mentre lo sciopero del 24 ottobre rappresenta lo sciopero della difesa della concertazione, della riforma Dini e della politica dei redditi, lo sciopero del 7 novembre, invece è lo sciopero della ricostruzione di tessuto di classe che parte dalla questione più generale della contrapposizione a questo modello di società e a questo liberismo che porta al suo interno le istanze sia del centro destra che del centro sinistra. Un elemento forte sta diventando la questione della democrazia sindacale... Uno dei punti all'ordine del giorno è sicuramente la democrazia sindacale, la legge sulla rappresentanza e il diritto dei lavoratori ad esprimersi sugli accordi. In larga sintonia con quanto rivendicato dalla Fiom, proporremo che a Roma e a Milano, città dove terremo la nostra manifestazione nazionale, ci siano due striscioni identici su questo tema.
Quali sono i punti centrali della vostra offensiva? La questione del reddito garantito e del reddito sociale è il primo punto dell'offensiva che il sindacalismo di base deve porre al centro, perché questo significa collocare e trovare un punto di unità tra il mondo del lavoro classico, sempre più minoranza, e chi oggi è straziato dalla disoccupazione e dalle forme del lavoro precario. L'altro punto è l'indicizzazione dei salari. Non tanto perché consentirebbe ai redditi di tenere un salario medio, che comunque arriva alla terza settimana del mese a coprire le spese, ma anche perché questo consentirebbe di far ritrovare ai contratti la loro funzione vera, che è quella di strappare pezzi di ricchezza, redistribuendo il reddito a favore del lavoro e non a favore dell'impresa. La terza questione è quella del salario europeo. Stanno chiudendo numerosi contratti, che mediamente arrivano a cento euro e dopo mesi di blocco totale della contrattazione. A due-tre mesi di distanza, quei cento euro sono considerati dai lavoratori una cosa inutile. L'offensiva sul salario è quindi un'offensiva importante. Il problema vero è non farne una offensiva all'interno delle compatibilità. Non avete partecipato agli incontri sulla legge 30. Per quale motivo? La Cub non vi partecipa in quanto ritiene che la legge 30 va cancellata. Quale sarà la forma sindacale capace di ricondurre a sintesi e ricollocare all'interno del movimento dei lavoratori le nuove forme del lavoro? Questo problema ce l'abbiamo tutti. Sicuramente non è applicabile il sindacato delle categorie. Il livello su cui dovremo misurarci è il livello territoriale. Anche se all'interno delle categorie ci saranno forti interessamenti, è lì che il sindacalismo di base dovrà misurarsi per dotare di strumenti di lotta e di lavoro, di sostegno e di servizi quel pezzo di classe che non solo viene espulso dal luogo di lavoro ma anche dalla filiera sindacale classica. Ci rifiutiamo di immaginare un percorso in cui in qualche comodo ci veda coinvolti a livello contrattuale nella legge 30. E' chiaro che sarà un momento di battaglia sindacale per l'autunno. Ho il terrore che il centro sinistra, che sulla legge 30 ha detto poco o niente, una volta che dovesse entrare al governo possa pensare di cancellare uno o due articoli di quella legge o mitigare una o due figure per far finta di aver eliminato la precarietà. La legge 30 è figlia del pacchetto Treu, così come la riforma Maroni è figlia della Dini.