SANZIONI DISCIPLINARI

Nazionale -

Alla Direzione  Centrale per le Risorse Umane
Prefetto Darko PELLOS

e p. c.       Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile
Capo Dipartimento
  Prefetto Salvatore Mario MULAS
 
Tramite:                            
Ufficio I - Gabinetto del Capo Dipartimento
Capo del Gabinetto del Capo Dipartimento
Viceprefetto Roberta LULLI

Capo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
Vice Capo Dipartimento Vicario
ing. Fabio DATTILO

Al responsabile dell'ufficio Garanzia dei Diritti Sindacali
dott.ssa Silvana LANZA BUCCERI


Oggetto: sanzioni disciplinari.  

Come noto, L’art. 16, comma 2, l. 11 luglio 1978, n. 382 – nella parte in cui impone l’esperimento del ricorso gerarchico avverso le sanzioni disciplinari di corpo prima di poter esperire ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - configura una condizione di proponibilità del giudizio e non un dovere di disciplina militare(1). (1) Ha chiarito la Sezione che l’interpretazione dell’art. 16, comma 2, l. 11 luglio 1978, n. 382 - ai sensi del quale “Avverso le sanzioni disciplinari di corpo non è ammesso ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Presidente della Repubblica se prima non è stato esperito ricorso gerarchico o siano trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso” - non è, allo stato, univoca. La stessa sez. IV (25 febbraio 1999, n. 228) ha stabilito che l’art. 16, comma 2, l. n. 382 del 1978 non ha introdotto una deroga al principio stabilito dalla l. 6 dicembre 1971, n. 1034 - che ha abolito l’onere del previo ricorso amministrativo - ma riguarda esclusivamente l’ordinamento militare, imponendo l’esperimento del ricorso gerarchico quale dovere di disciplina militare, ma non quale condizione dell’azione giurisdizionale in senso tecnico. Ancora la sez. IV (26 marzo 2010, n. 1778) ha ritenuto che il cit. art. 16 comma 2 riguarda esclusivamente l'ordinamento militare, imponendo l'esperimento del ricorso gerarchico contro le sanzioni del corpo quale dovere di disciplina militare, ma non quale condizione dell'azione giurisdizionale amministrativa in senso tecnico. Di contro, la Corte costituzionale, dapprima con sentenza 22 aprile 1997, n. 113, poi con ordinanza 19 dicembre 2013, n. 322, ha ritenuto che la disposizione in esame, costituzionalmente legittima, configuri una condizione di proponibilità del giudizio; sulla stessa linea si è mosso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nella sentenza 19 gennaio 2010, n. 35. La sezione, re melius perpensa rispetto al proprio, precedente orientamento, ritiene più condivisibile quello fatto proprio dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Come osservato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 322, non vi è effettivamente alcuna base normativa per ascrivere natura di illecito disciplinare al mancato previo esperimento di ricorso gerarchico. Sono invece rinvenibili, ad avviso della Sezione, spunti normativi di segno diametralmente opposto. Come noto, de jure condito “costituisce illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all'emanazione di un ordine” (art. 1352, comma 1, cod. ord. Mil.). Orbene, in primo luogo il ricorso gerarchico costituisce una facoltà dell’interessato: per principio logico di carattere generale il mancato esercizio di una facoltà non può mai costituire una “violazione di un dovere del servizio”; tale conclusione è coerente, inoltre, con la previsione generale sancita dal codice dell’ordinamento militare, secondo cui “L’esercizio di un diritto ai sensi del presente codice e del regolamento esclude l’applicabilità di sanzioni disciplinari” (art. 1466 cod. ord. Mil.). La “disciplina militare” (art. 1346 del codice) “è l'osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate e alle esigenze che ne derivano”: l’attivazione di rimedi a tutela della posizione del singolo militare è, dunque, palesemente estranea al concetto in parola. Infine, “gli ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare e modalità di svolgimento del servizio e non eccedere i compiti di istituto” (art. 1349, comma 1, del codice, peraltro riproduttivo dell’art. 4, comma 3, l. n. 382 del 1978): l’esperimento del ricorso gerarchico è, come visto, estraneo alla disciplina e non riguarda il servizio (inteso come attiva esecuzione di mansioni istituzionali) né i compiti di istituto. Per vero, i concetti di “disciplina” ed “illecito disciplinare”, oggetto di specifica trattazione da parte del codice, erano comunque acquisiti e pacifici anche nel vigore della previgente disciplina: in parte qua, infatti, il codice non ha introdotto modifiche ma solo arricchito la normazione positiva di un patrimonio definitorio, in consonanza con la propria natura sistematica. Posto, dunque, che non vi sono basi normative per annettere natura di illecito disciplinare al mancato previo esperimento di ricorso gerarchico, non resta che concludere che la disposizione in esame intenda effettivamente delineare una condizione di proponibilità del giudizio, invero costituzionalmente legittima in virtù della specialità dell’ordinamento militare, della non particolare gravosità dell’adempimento, del solo temporaneo differimento della possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale, della più intensa capacità dello strumento gerarchico di soddisfare l’interesse demolitorio del ricorrente, alla luce della cognizione di merito riconosciuta all’Autorità adita.
Se quanto in parola è di fatto corrispondente al vero diviene necessario meglio articolare il sistema di valutazione e il trattamento di questi atti amministrativi che di fatto hanno una diretta azione verso i lavoratori ma non coinvolgono la dirigenza tecnica in caso di rivalsa o azione intrapresa che non tiene conto del diritto di imparzialità e la possibilità di ricorrere ad altro in caso di rilevanza di vizi o infrazioni. È idea della scrivente che tale argomento necessiti oltre che di una regolamentazione specifica anche di una istituzione centrale di una commissione super partes che proprio in funzione di un regolamento controlli sia che l'azione sia uniforme nel territorio sia che le “sentenze/giudizi” facciano giurisprudenza  in modo da tracciare una “via maestra”.
Comprendiamo che il tema trattato necessita di un più ampio ragionamento ed è per questo che chiediamo un incontro specifico  dove confrontarci e dirimere la questione.