Una scala mobile per tutelare salari e contratti (di Pier Paolo Leonardi*)
Dal quotidiano Liberazione del 14 aprile
Da più parti, vengono mossi violenti attacchi a chi ha avuto l’ardire di proporre nel nostro paese il lancio di una legge di iniziativa popolare per il ripristino della scala mobile
La prima invettiva che si è levata è stata quella di essere conservatori, lanciata a più riprese dalle colonne del Corriere della Sera, da Il Riformista e il Sole 24 ore. In buona sintesi si afferma che è retrò e datata la richiesta di adeguare automaticamente i salari all’inflazione, dato che siamo in epoca di globalizzazione, di libero mercato e che anche i lavoratori e i pensionati devono accettarne i rischi connessi. Poi, ancora, la scala mobile produce inflazione ed è stato giusto abrogarla!
La scala mobile vede la luce nel dicembre del 45, con lo scopo di tutelare i salari operai dall’inflazione dell’immediato dopoguerra. Viene definitivamente abrogata con l’ accordo di concertazione del luglio ’92.
Negli anni cinquanta e sessanta, nonostante la presenza della scala mobile, l’inflazione è stata abbastanza contenuta, con una media annua del 3,5%; dal ’73 all’ ’84 invece si è registrata una forte impennata dei prezzi che ha portato mediamente l’inflazione quasi al 15%. Successivamente all’85 essa si è attestata attorno al 5-6%.
Nei dieci anni successivi, fino circa al ’95, il tasso di inflazione è rimasto pressoché lo stesso, a dimostrazione che non la scala mobile, ma le crisi cicliche del capitale erano il vero motivo dell’aumento dei prezzi. Infatti erano gli anni delle continue svalutazioni della lira e l’inflazione fu uno strumento adoperato a piene mani per favorire l’esportazione della produzione nazionale.
Come ovvia conseguenza si ebbe una fortissima contrazione dei salari e degli stipendi, attraverso il meccanismo del cosiddetto drenaggio fiscale che aumentava automaticamente il prelievo fiscale all’aumentare dei prezzi e dei salari nominali. Si avviò allora una gigantesca redistribuzione del reddito a favore del capitale e della rendita che ha portato ad oggi ad aver esattamente invertito la quota di reddito che va al fattore lavoro rispetto a quella che va a fattore capitale a tutto vantaggio di quest’ultimo. L’accordo di luglio ’93 prevedeva che i lavoratori si sarebbero fatti carico della crisi di sistema attraverso la moderazione salariale e che in contropartita avrebbero ottenuto il severo controllo su prezzi e tariffe. Come tutti sanno non andò così.
L’accordo del 93, tra l’altro, prevedeva che i contratti si sarebbero rinnovati sulla base dell’inflazione programmata dal Governo e che in caso di scostamento, rilevato a posteriori, tra l’inflazione programmata e quella reale - come certificata dall’Istat sulla scorta di un paniere di beni costantemente modificato e non certo per adeguarlo alle esigenze delle famiglie dei lavoratori dipendenti - si sarebbe contrattata la cifra da restituire ai lavoratori, "depurandola dall’inflazione importata" cioè dall’andamento del costo del barile di petrolio.
L’accordo del ’93 ottenne però anche un altro brillante risultato, esattamente opposto a quanto sostenuto dalle confederazioni firmatarie. Dal ’93 ad oggi i contratti collettivi nazionali di lavoro sono stati invece meri atti notarili con cui, al tavolo negoziale, le organizzazioni sindacali altro non potevano fare che prendere atto dell’inflazione programmata svuotando così, ed immiserendo, la funzione stessa del contratto.
Il ripristino della scala mobile è indispensabile sia per tutelare i salari dall’inflazione sia per restituire funzione al negoziato contrattuale. Ottenerlo non sarà affatto facile né scontato.
Né il centro-destra né il centro-sinistra hanno inteso introdurre nel proprio programma elettorale la reintroduzione della scala mobile (nel programma del centro-sinistra c’è in verità un accenno rispetto all’adeguamento delle pensioni, ma molto timido). Ciò significa che tutte le forze in campo ufficialmente fanno proprie le valutazioni dei padroni che tacciono sull’esplosivo problema del carovita, sulla perdita di potere di acquisto dei salari e delle pensioni, e martellano sulla necessità di contenere ancora il costo del lavoro. Eppure quest’ultimo scorcio di campagna elettorale è stato dominato dalla questione riduzione delle tasse e riduzione del cuneo fiscale, a dimostrazione che il problema del reddito disponibile per le famiglie è divenuto il problema dei problemi, anche vista la pesante stagnazione dei consumi e della domanda e dell’impennata dell’indebitamento delle famiglie!
Per la Cub la questione del ripristino della scala mobile, assieme all’introduzione del reddito sociale per disoccupati e precari e alla lotta al carovita sono fondamentali nello scontro per rimettere al centro della discussione politica una diversa e più giusta redistribuzione del reddito e della ricchezza prodotta e per restituire dignità al lavoro e su queste parole d’ordine, già al centro dello sciopero generale del sindacalismo di base dello scorso 21 ottobre, continueremo nel conflitto. Riteniamo anche senz’altro significative le adesioni pervenute al comitato promotore per una nuova scala mobile da partiti e organizzazioni della sinistra cosiddetta radicale quali il Prc, il Pdci, i Verdi, Socialismo 2000 (DS), ci auguriamo quindi che coloro che saranno eletti al prossimo Parlamento da questi partiti sappiano sostenere la nostra proposta di legge che sta ottenendo, tra i lavoratori e i pensionati, un enorme consenso nella raccolta di firme e che dovremo tradurre da subito in capacità di iniziativa e di lotta.
*Coordinatore nazionale Cub