Riflessioni sindacali; personale Amministrativo
Quei pochi tra voi che mi conoscono, sanno come io ritenga importante che il ruolo a cui appartengo sia coinvolto nell’attività sindacale.
Tale ruolo nonostante ormai rappresenti una fetta numericamente importante del C.N.VV.F. è la parte numericamente la meno iscritta, non solo in RdB ma anche nelle altre Organizzazioni Sindacali.
Perché? Perché non ha problemi?
E’ erroneo è forse il ruolo che all’interno dei Comandi subisce di più; da una parte la diffidenza del personale operativo dall’altra il “comandare” di Dirigenti e Funzionari.
E’ un ruolo che è sempre stato considerato solo di supporto all’attività dei Comandi, in subordine a quella giustamente più importante più visibile del personale operativo Scusate, una piccola banalità, ma quanti contratti sono stati fatti e nessuno ha mai pensato di fare una piccola proposta di toglierci quel “supporto” che tanto non ci piace.
Supporto di cosa?
Perché non semplicemente personale Amministrativo che già ci farebbe sentire come parte di una realtà lavorativa?.
E’ un ruolo che ha visto bloccato la sua carriera, per anni non si sono mai fatti corsi di qualificazioni o concorsi interni e quando poi finalmente ha visto nel 2004 la possibilità attraverso la riqualificazione di un riconoscimento professionale, ha dovuto poi ricredersi perché con l’avvento del D.Lvo 217 si è ritrovato ad essere in buona parte demansionato e retrocesso nelle qualifiche precedenti alla riqualificazione.
Ma perché non si iscrive al sindacato?
Una risposta è quella che probabilmente si ritiene poco rappresentato.
Probabilmente per la paura di non avere spazio o visibilità all’interno del sindacato.
Di qualsiasi sigla si parli, non possiamo nascondere che in tutti i comunicati stampa, in tutti i siti visitati scarsa è la visibilità del ruolo.
Pochissimi sono i Comandi dove il personale amministrativo ha un suo rappresentante nelle negoziazioni sindacali.
Non vorrei essere fraintesa: ben maggiori sono le specificità del ruolo operativo, ben più articolato e complesso è l’attività che il personale operativo è chiamato a svolgere.
Ma quale proposte sono state fatte per il ns ruolo?
Quale attività sindacale fermenta per dare visibilità ai SATI?
Purtroppo nascono sporadicamente “comitati spontanei” che sostengono questa o quella “parrocchietta” SATI, si chiamino informatici, o direttivi, o altro che altro non fanno che danneggiare la categoria che soffre di una incomunicabilità al suo interno e una incapacità di far “COALIZIONE”.
Sicuramente se andate a parlare con questi lavoratori, troverete che c’è una certa frustrazione rispetto al lavoro, troverete demotivazione che non dovete confondere con “poca voglia di lavorare” che certo esiste ma non come potete pensare.
Ma perché questo malcontento non esplode in qualcosa di concreto?
Credo che questo malcontento, questo malessere che aleggia non serve a nulla se non viene veicolato in una seria proposta e se poi non ci sia una strategia di fondo per arrivare ad un risultato.
Possiamo fare migliaia di comunicati che denuncino la situazione, bellissimi articoli ma vi chiedo e poi?
Non amo la polemica fine a se stessa, il continuare a dire che nulla va bene ma senza avere una proposta per cambiare e soprattutto un percorso chiaro e definito per arrivare ad un risultato.
Può essere un piccolo risultato, non importa ma dobbiamo centrare ad almeno un obbiettivo. Obbiettivo che deve essere condiviso da tutta la categoria e compito dell’azione sindacale è il contribuire alla generazione di un progetto.
Per essere compresa credo di dover fare un passo indietro e palesarvi quella che sono le mie riflessioni più generali, mie e che chiaramente non vuol dire debbano essere per forza corrette.
Probabilmente oggi paghiamo tutti la grave carenza dimostrata dal sindacalismo al momento di affrontare le modificazioni realizzate nelle relazioni sindacali.
Sicuramente in tutto il mondo del lavoro c’è una strategia politica che da sempre meno peso alle relazioni sindacali e che ha la finalità di creare divisione tra i lavoratori.
Sicuramente pesa l’estrema interferenza degli interessi dei partiti in alcune sigle sindacali, pesa l’individualizzazione delle relazioni sindacali.
Probabilmente appartengo ad una generazione, che ha una visione culturale in cui il sindacato è parte fondamentale della società.
Purtroppo un passato lontano, ma penso che bisogna comprendere perché oggi non sia più così. Oggi l’iscrizione non è più avvertita come necessaria, a volte è addirittura ritenuta inopportuna rispetto al ruolo che si riveste all’interno della struttura lavorativa, talvolta è addirittura ritenuta inutile.
Ritorno su un concetto: ritengo prioritario la dotazione di un progetto, di un percorso, di un obbiettivo da raggiungere e sicuramente il proselitismo ed il tesseramento in tutto questo è prioritario. Chi crede che questo non lo sia, rifletta solo sul fatto che un’organizzazione è tale solo se composta da più persone; parliamo di un organizzazione non di un gruppo di amici; il peso dell’organizzazione dipende dal numero dei componenti e da come si organizzano per il raggiungimento del fine.
Ininfluente è la posizione di chi ritiene che comunque questo gruppo si differenzia dagli altri, ininfluente è ritenersi elite tra gli altri; se non ha i numeri sarà escluso da qualsiasi negoziazione, sarà escluso da qualsiasi possibile processo di cambiamento.
Sicuramente il fatto di non ritrovare più fiducia nel sindacato, di non sentirsi rappresentato, sta nella perdita del potere contrattuale, nella retribuzione sempre più inadeguata, nella incapacità delle organizzazioni di adeguarsi ai nuovi bisogni, nella incapacità di salvaguardare le pensioni e altri diritti che hanno in tempi lontani aggregato i lavoratori nelle lotte sindacali.
Credo che si debba partire da un costante e continuo contatto diretto con i lavoratori, in modo che l’azione sindacale sia sempre più incisiva e rispondente ai bisogni espressi dai lavoratori, dando ai lavoratori un segnale di rappresentanza forte e senza incertezze.
E’ necessario recuperare i lavoratori sul piano della motivazione personale e della rappresentanza nei luoghi di lavoro.
Sono entrata da poco in questa sigla sindacale, ma ci sono entrata con entusiasmo disposta a mettere un po’ del mio tempo a tentare di far parlare la nostra categoria. Diffido dei “paladini”, dei personalismi.
Il paladino normalmente lavora per se stesso non per gli altri, non sono guida per nessuno se non per se stessi.
Credo solo nel coinvolgimento e nel far parlare l’organizzazione e non la persona.
La crisi di iscrizioni che coinvolge un po’ tutte le sigle sindacali, che porta alla nascita e quasi alla repentina morte di nuove formazioni che fanno a gara a chi alza di più la voce, dovrebbe forse essere l’occasione per riflettere sugli obiettivi sindacali.
Se si vuole una partecipazione dei lavoratori, la loro partecipazione deve essere determinante, non vuol dire solo non accontentarsi o non accettare quello che si ha oggi ma anche essere detentori di un progetto di trasformazione.
Credo nella centralità di rappresentanza che coincide con una democratica partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nell’iniziativa politica e nel modello organizzativo, che richiede una cessione di potere esplicita da parte dei gruppi dirigenti ma ciò non deve preludere ad un “anarchia” dell’organizzazione ma ad un coordinamento centrale delle idee che prendono vita dalle base.
La paura della “burocratizzazione” della organizzazione non deve avere come contrapposizione alla disorganizzazione. Credo nella necessità di convogliare le idee in un unico progetto ma se poi quel progetto non avrà un seguito in un percorso di attuazione non avremo alcun risultato. Essendo da poco in questa organizzazione, non conoscendo per nulla i metodi di lavoro di cui vi siete dotati, mi sono trovata a dover sperimentare empiricamente ed un po’ “inventare” senza però tradire quello che comunque è il mio modo di lavorare in ogni campo.
Ho trovato che per non dare un taglio personale, alle poche cose di cui mi sono occupata, prima di dare risposta di confrontarmi con altri dell'RdB, in maniera di avere sia un sostegno e sia per dare poi le stesse risposte, per raccogliere le segnalazioni in maniera omogenea e anche per cominciare a farne una sorta di elaborazione.
Perché vi dico questo? Perché credo che un primo tentativo di concretizzare qualcosa potrebbe essere quello, senza burocratizzare nulla, senza un esagerato dispendio di risorse umane, trovare quelle due o tre persone che si dividano il compito di dividersi il territorio nazionale e fare da filtro e riferimento per le problematiche così da avere certezze di uniformità nelle risposte e anche omogeneità di intenti.
Ora premesso tutto questo, (non temete cercherò di chiudere in fretta, e scusate ma leggete la mia logorrea come entusiasmo di una non più giovane lavoratrice ma ancora piena di utopie) pur analizzando il momento non facile, credo che nel mio settore ci sia la possibilità di “aggregare” coinvolgendo il personale su una serie di proposte rivedere e modificare il D.Lvo 217 - è talmente complesso e non è altro che la fotocopia di quello della Polizia di Stato, che probabilmente sarebbe più facile riscriverlo ex novo prevedendo un minor numero di qualifiche, massimo due, per ogni livello e di un più veloce avanzamento di carriera. – Proposta che penso potrebbe essere analoga per il settore operativo - se si riuscisse a far passare l’idea di accorpare alcune figure, si riuscirebbe ad “aggiustare” anche la carriera di quelle professionalità che si sono viste demansionate e dequalificate collegare il passaggio di carriera alla professionalità acquisita, quindi anzianità di servizio e corsi di formazione e riqualificazione.
Divisione delle carriere nei due diversi ruoli, operativo e amministrativo-contabile e informatico.
Attuazione di una carriera amministrativa che preveda l'avanzamento alla vice dirigenza amministrativa.
Per ultimo, ma non per importanza, ma come donna prima che come iscritta al sindacato credo che nei Comandi debba essere messo in evidenza l’attacco che le dipendenti pubbliche subiscono in tema di diritto alla pensione.
Se l’idea del pensionamento a 65 anni è inaccettabile, ancor di più è il modo in cui ci viene presentato: l’obbligo di aderire ad una sentenza della Corte Europea e non anche alla solita idea di recuperare “soldi” sulle spalle dei lavoratori.
Strano che non si parli mai di adeguamento delle retribuzioni secondo i livelli europei, strano che non si parli mai di adeguamento dei servizi agli standard europei. Sarà una dimenticanza?.
Strano poi che l’obbligo sia solo per le dipendenti pubbliche; questo non sarà forse il primo passo per estenderlo poi a tutte le lavoratrici e poi magari dall’oggi al domani per presentarci l’ennesima riformina delle pensioni che sta all’interno di una riforma che ormai va avanti da anni e che pezzo per pezzo sta smantellando un diritto.
Mi aspetto solo il giorno in cui comunicheranno la fine di un diritto e il conseguente obbligo di pagarci una assicurazione privata magari in qualche compagnia in cui qualche ns politico ha un interesse personale.
Come si fa a parlare di innalzamento dell’età pensionabile delle donne in un paese in cui le donne devono sopperire ad uno stato sociale carente o addirittura quasi assente per sia per quanto riguarda l’infanzia che per quanto riguarda gli anziani e la non autosufficienza.
Le donne rischiano di subire gli effetti della crisi economica più pesantemente, in termini di condizioni di vita e di lavoro.
Quando i servizi a tutela della maternità o per anziani o per la disabilità non sono sufficienti sono le donne che debbono abbandonare il posto di lavoro e se economicamente non possono sostenere l’allontanamento dal posto di lavoro, devono farsi carico di una serie di problematiche che incidono in maniera profonda sulla qualità della loro vita.
Credo che l’universo femminile sia pieno di esperienze pratiche di questo tipo, di una storia in cui sempre si sono trovate a subire, ma credo anche nella capacità delle donne di elaborare un pensiero politico/critico, purtroppo spesso silenzioso e nascosto.
Anche qui mi sono chiesta perché anche quando i discorsi nascono nelle sedi istituzionali, come ad esempio il sindacato, non riusciamo ad andare avanti in un progetto e tutto si ferma ad una mera denuncia del fatto?.
Manca una dimensione adeguata al modo di intendere e fare politica?
Ho paura che tutto si fermi ad una vecchia visione di quella che è la democrazia formale, ai triti e ritriti discorsi sulla rappresentanza, che finiscono per permettere una sola rappresentazione della “parola” ma alla quale non segue alcuna spinta di progettualità.