Rassegna Stampa
6 aprile 2011 - Sky Tg24
IL RACCONTO
Io vigile del fuoco due anni fa in Abruzzo, oggi a Manduria
Le tende dell'emergenza che accolgono gli immigrati sono le stesse usate per il sisma del 6 aprile. "Abbiamo costruito la prima tendopoli a L’Aquila. Per giorni abbiamo scavato a mani nude in cerca di sopravvissuti" ricorda Antonio Jiritano
di Chiara Ribichini
L'Aquila - "Tu mettiti lì, ora ti porto il materasso. A te manca la coperta, qui serve un cuscino, lì un lenzuolo". Il campo di Manduria (in provincia di Taranto) ha preso vita in poche ore ed oggi ospita oltre un migliaio di immigrati sbarcati dal Nordafrica. Tunisini, libici o egiziani in fuga dai loro paesi alla ricerca di un futuro migliore. Ma quelle stesse tende blu su cui campeggia la scritta Ministero dell’Interno, due anni fa, accoglievano gli aquilani e i cittadini di Onna, Paganica o San Giorgio. Tante vite interrotte dal terremoto del 6 aprile che distrusse il centro storico del capoluogo abruzzese e interi comuni e causò 309 vittime. E a montare quelle strutture temporanee per gli sfollati del sisma c’erano molti dei Vigili del Fuoco che oggi sono corsi a Manduria. Uomini delle emergenze sempre divisi tra i soccorsi, i pericoli, gli allarmi. Sempre a contatto con la disperazione delle persone. Oggi come due anni fa. "Quel giorno, il 6 aprile, siamo partiti alle 6 in punto da Roma. Direzione L’Aquila. Un fax ci aveva avvisato della scossa di 5.9 gradi della scala Richter. Ci siamo precipitati con i mezzi che avevamo. Alcuni veicoli sono molto vecchi e in pessime condizioni. E qualche camion si è fermato per strada" racconta Antonio Jiritano, coordinatore nazionale del Sindacato di base dei vigili del Fuoco che ha vissuto in prima persona ieri il terremoto in Abruzzo e, oggi, l’emergenza immigrazione a Manduria. "Arrivati sul posto il pensiero è stato uno solo: scavare. Con le ruspe o con le mani. Per tre giorni ininterrottamente. Abbiamo iniziato dalla Casa dello Studente. Non c’era un’organizzazione, nessuno aveva il polso della situazione, c’era solo tanta confusione. Ricordo colleghi de L’Aquila che non avevano ancora informazioni sulla sorte dei loro familiari. Ma erano lì, accanto a noi, con le mani tra le macerie alla ricerca di sopravvissuti o vittime". Tre giorni, quelli dopo il sisma, da non raccontare. "Nessuna doccia, nessun cambio, nessun riposo. Solo qualche caffè offerto dai pochi aquilani che avevano una casa e due fornelli". Tre giorni tra le macere e a gestire l’emergenza. "Le prime tende che abbiamo montato sono state quelle blu del Ministero dell’Interno. Le stesse che oggi abbiamo tirato su a Manduria" spiega Jiritano. La prima tendopoli costruita in Abruzzo è stata quella nel centro storico de L’Aquila, proprio davanti alla caserma dei vigili del fuoco. Poi, quelle "macchie blu" sono spuntate anche ad Onna, Paganica. E con il passare dei giorni sono arrivate tende migliori da tutto il mondo. "Nei primi giorni ci siamo arrangiati con tutto quello riuscivamo a recuperare. Ad Onna abbiamo costruito una specie di capanna-caserma con delle tavole di legno e un po’ di cellophane. E’ diventato un punto di aggregazione, una sorta di bar del posto" ricorda Jiritano. Poi con il tempo, l’emergenza è diventata normalità. Le tendopoli sono state sostituite dalle new town. Ma quelle passeggiate per accompagnare gli abruzzesi a riprendere qualche oggetto nelle loro abitazioni non si sono mai interrotte. Ogni giorno. Avanti e indietro. Ancora oggi, due anni dopo il sisma."Bisogna vestirli di tutto punto e mettergli il caschetto. Tornano spesso per prender qualcosa. O, più semplicemente, per vedere come sta la loro casa. E la loro città. E’ un modo per non perdere il contatto con la vita che è stata e che non sanno se mai tornerà" racconta Jiritano. Oggi in Abruzzo l’emergenza è finita e, dal dicembre del 2010, sono rimasti solo 55 vigili del Fuoco. "Ma la gente ha ancora bisogno di noi, c’è moltissimo da fare. Nel centro storico ci sono continui crolli a causa della scarsa manutenzione" denuncia Jiritano. La paura del terremoto è stata superata ma tra i cittadini permane una sorta di disagio. "Puoi parlare anche di pallone o di tv ma inevitabilmente, primo o poi, i loro discorsi tornano sempre a quella notte". E alla vita sospesa di oggi. "Non si sentono più padroni né della città né della casa. L’Aquila era una città divisa in rioni dove tutti si conoscevano, una grande famiglia che oggi non riesce più a ricongiungersi. Perché nelle nuove case costruite dal governo sono stati tutti sparpagliati". A Manduria, invece, i pochi discorsi che gli immigrati delle tendopoli riescono a improvvisare in italiano ruotano sempre intorno una sola parola: lavoro. "Non chiedono una casa ma un’occupazione, anche per 5-10 euro al giorno. E molti sognano di andare in Francia" racconta Jiritano che ha seguito la creazione del campo fin dal primo giorno, il 31 marzo. "Abbiamo portato a Manduria le tende de L’Aquila. Ma la tendopoli per gli immigrati è tutta recintata e sembra una prigione. Peggio: un canile. Le condizioni sono drammatiche. Ho visto scaldare pasta in bianco con schiuma di carne. Non credo che potranno resistere a lungo in quelle condizioni. Temo che presto possa scoppiare una vera e propria rivolta".
6 aprile 2011 - Il Capoluogo d'Abruzzo
Usb Vigili del Fuoco e il limbo del lavoro
«L'unica strada che conosciamo per affermare i nostri diritti è la lotta nelle piazza, e lo faremo con i nostri amici Aquilani»
L'Aquila, 06 apr 2011 - L'unione sindacale di base dei vigili del fuoco è stata impegnata con gli aquilani per la ricorrenza della tragedia del terremoto: «Ci hanno voluto tra di loro, – afferma l'Usb in una nota – all'ordine del giorno non c'erano ne rivendicazioni salariali ne sindacali, ma si è fatto il punto su cosa è cambiato in città a due anni di distanza e cosa è cambiato nel corpo nazionale da quella fatidica notte. Infatti, una domanda ricorrente durante il dibattito con le associazioni intervenute, scrittori, giornalisti e deputati, è stata proprio questa "da quella notte è cambiato qualcosa visto che vi erano solo dodici vigili del fuoco in servizio?". Ma cosa rispondere sapendo che i mezzi, quella notte, che arrivavano verso l'Aquila venivano abbandonati per la via visto la loro vetusta, e poi che dire dell'allerta avvenuta attraverso fax? E sopratutto che dire quando chiudiamo i nostri nuclei, ridimensioniamo le colonne mobili, ed i tagli al nostro dicastero sfiorano il 35%». Il dibattito ha toccato punti politici, umani e scientifici. Con la relazione introduttiva si è sottolineato come, da operatori del soccorso, sia stato notato una spoliazione e delocalizzazione della città e la difficoltà di vederla gravitare nel centro dove una volta viveva tutto il nucleo dell'Aquila, una città ancora controllata militarmente. Nel corso del dibattito sono emerse anche le problematiche per la ricostruzione: «Invece di costruire una città sicura - continua la nota - si deroga alle norme e si abbattono i criteri di sicurezza con standard che possono essere abbassati al 60%, deroghe veramente scandalose per una città che ha già subito un terremoto». «La Usb, ha voluto portare all'Aquila un messaggio per unire le forze in campo e per combattere questa militarizzazione che ci accomuna, uscendo fuori da questa propaganda ed evitando che i "grandi" successi diventino solo una vetrina di spot pubblicitari per il governo, quando la realtà è quella che constatiamo ogni giorno dall'Aquila a Manduria per poi arrivare a Lampedusa ed ora nelle altre regioni. Ma la realtà ancora più pesante – prosegue la nota dell'unione sindacale di base dei vigili del fuoco - è che il corpo nazionale è stato assorbito dalla carriera prefettizia in tutte le sue attività, ed ogni attività sul territorio viene "vistata" dai prefetti, senza curasi mai della valorizzazione degli operatori del corpo nazionale». «Quello che più ci dispiace è che gli stesi lavoratori del corpo nazionale spesso perdono la memoria di quello che subiamo giornalmente, ci si indigna per pochi minuti e poi si torna nelle stesse condizioni, purtroppo è così. Perché, se così non fosse, dopo Viareggio e dopo non essere pagati, dopo le promesse a seguito del sisma dell'Aquila, dopo che rinviano i Ccnl, dopo che la pensione la posticipano e ti chiedono la tangente sulla liquidazione, dopo che ti tengono 20 anni a marcire nello stesso ruolo, e dopo la grande SPECIALIZZAZIONE, il minimo che un lavoratore dovrebbe fare è scendere in piazza e protestare, ed invece cosa succede? Si da la delega agli aguzzini in combutta con gli amministratori e con le appendici politiche e si rimane per anni ed anni in questo limbo di sventura». «La Usb non vuole essere oltremodo ambiziosa ma – conclude la nota – l'unica strada che conosciamo per affermare i nostri diritti è la lotta nelle piazza, e lo faremo con i nostri amici Aquilani, solo questo sveglia le coscienze delle gente e di chi guida questo paese, le promesse da marinaio le possono fare ad altri sindacati non certo a noi».
6 aprile 2011 - Inviato Speciale
L’Aquila e il terremoto: la notte del cordoglio e del ricordo
di Paolo Repetto
L'Aquila - Stanotte la città ha ricordato le vittime del terremoto di due anni fa. InviatoSpeciale ha partecipato alla lunga e straziante fiaccolata e prova a raccontarla con le immagini. E’ significativo che una delle principali iniziative che ha preceduto, all’Aquila, il corteo in ricordo delle quasi 300 vittime del terremoto del 6 aprile 2009, sia stata organizzata dai vigili del fuoco. Una loro folta rappresentanza, aderente al sindacato di base Usb, ha chiamato a raccolta i cittadini, due giorni fa in piazza Duomo, per discutere su "che cosa è cambiato". Ma al di là dell’iniziativa in sé, ha offerto l’occasione a molti aquilani di stringersi nuovamente attorno ai loro ‘salvatori’, al corpo di Protezione civile che è stato loro così vicino in questi tormentati e drammatici due anni. Ventiquattro terribili mesi durante i quali la ‘zona rossa’ ha continuato a circoscrivere una porzione di città fantasma, costretta al silenzio delle macerie. E ancora oggi il centro dell’Aquila fa impressione: buio, spento, desolante e militarizzato. Stanotte le fiaccole hanno provato ad illuminarlo, nella compostezza dei cittadini che le reggevano e che si sono fatti forza l’uno con l’altro. Accanto a loro i rappresentanti delle istituzioni locali e dei volontari delle Croci (rossa, bianca, verde) e delle Misericordie, che hanno prestato soccorso due anni fa in queste terre, cercando di lenirne il dolore. Migliaia e migliaia di donne, uomini e bambini hanno dato vita ad un serpentone interminabile, partito dalla Fontana luminosa alle 23.30 e arrivato in piazza Duomo al termine di un lungo percorso, poco prima delle fatidiche 3.32, l’ora ‘x’ della tragedia. In corteo la tristezza sembrava lasciare spazio anche al barlume di speranza in una giustizia finora sconosciuta. I numeri dell’emergenza, tutt’altro che conclusa, sono scolpiti nella mente di chi abita ogni giorno questa città: al primo marzo 2011, nel comune dell’Aquila e nei comuni limitrofi, sono ancora 23.061 i cittadini alloggiati a carico dello Stato e 14.174 quelli con contributo. Il totale delle persone assistite in strutture ricettive e di permanenza temporanea ammonta a 1.604. Lo stato di emergenza e calamità naturale è stato dichiarato fino al 31 dicembre: dopo quella data il Governo sarà finalmente pronto a formulare una legge organica sulla ricostruzione e a far intravedere agli aquilani l’uscita dal tunnel? O ai cittadini dovranno bastare le rassicuranti (e contestatissime) parole pronunciate nei giorni scorsi dal sottosegretario Letta e dal commissario regionale Chiodi? "Per mesi le persone terremotate sono rimaste spaesate e totalmente escluse dalle scelte politiche che decidevano il loro futuro. Sono passate dalla rassegnazione alla rivolta, attraversando mille trasformazioni. Intrecciando voci, e risate di ‘sciacalli’: imprenditori che hanno con le loro parole scatenato la protesta popolare delle carriole, quando ormai il terremoto non faceva più ‘notizia’. ‘Riprendiamoci la città!’, hanno gridato gli abitanti dell’Aquila, dimostrando la volontà di non rassegnarsi al silenzio, anche se costretti a vivere nelle periferie di una città fantasma". Parole dure e incontestabili, che sembrano scritte sulla pietra e invece sono state distribuite dai vigili del fuoco nel loro volantino, l’altro ieri. A distanza di due anni "abbiamo ancora gli stessi uomini, gli stessi mezzi e le stesse risorse". La sensazione "è che ci sia una guerra intestina al ministero degli Interni – ha aggiunto uno di loro – c’è troppa confusione nelle direttive. Troppa ‘militarizzazione’ anche tra noi". Oggi, alla cerimonia istituzionale, parteciperà anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, invitato in città dal sindaco Cialente, d’intesa con i familiari delle vittime. Ovviamente è stato proclamato il lutto cittadino ed è stata disposta dal consiglio comunale l’esposizione delle bandiere europea, nazionale e comunale a mezz’asta, nelle sedi municipali e in quelle degli altri uffici pubblici. Ora la parola passa alle immagini della cerimonia notturna, quella della dignità di un popolo che pretende la ricostruzione, che esige di tornare a vivere.
5 aprile 2011 - Il Manifesto
TERREMOTO Due anni dopo, l'abbraccio degli aquilani è per i vigili del fuoco
Il governo «non si arrende» Ma all'Aquila non si vede
L'Aquila - «La rappresentazione che spesso viene data dell'Aquila è molto diversa dalla realtà». Per una volta, la frase pronunciata ieri da Gianni Letta mette tutti d'accordo: i cittadini aquilani, gli enti locali e il governo Berlusconi. Solo che per il sottosegretario alla presidenza del consiglio la situazione nel capoluogo abruzzese «non è di stallo, come viene dipinta», «i problemi ci sono», certo, ma se la ricostruzione non parte non dipende dal governo che anzi «non si arrende». Naturalmente se ne guarda bene di venire a dirlo qui, all'Aquila, dove ancora risuonano i fischi indirizzati l'anno scorso in piazza Duomo, nel primo anniversario del sisma del 6 aprile 2009, agli esponenti della maggioranza arrivati con troupe al seguito. Così quest'anno, consapevole di come L'Aquila sia diventata zona rossa per il governo almeno quanto lo è il suo centro storico ancora militarizzato per gli abitanti della città, Letta e il presidente di regione, il commissario delegato alla ricostruzione Gianni Chiodi, scelgono di divulgare la loro verità ai giornalisti stranieri in conferenza stampa a Roma: di italiani che ancora non hanno capito l'antifona non ce ne sono più.
Ai piedi del Gran Sasso invece questo secondo anniversario ha uno strano sapore: da un lato sembra essere sopraggiunta perlopiù una sorta di rassegnazione alla nuova vita fatta di precarietà totale, senso di impotenza e di segregazione in periferie senza centro; dall'altra l'elaborazione collettiva del lutto per la perdita dell'amata città ha risvegliato una consapevolezza nuova, una voglia di non delegare più nulla. Lo si sentiva ieri nel commovente incontro sotto il tendone di Piazza Duomo tra la popolazione e i Vigili del fuoco, «gli angeli» tornati da ogni punto d'Italia grazie all'Unione sindacale di base (Usb) e al comitato «3e32» per ricordare, piangere insieme, e soprattutto per discutere dei problemi della prevenzione e del soccorso, e di cosa non sta funzionando nell'attuale fase della ricostruzione. Ma lo si sentiva anche qualche centinaio di metri più in là, nel Palazzo della Regione, dove il consiglio comunale aquilano riunito ha trovato ieri «finalmente» i numeri per approvare la proposta bipartisan (Fli, Prc, Idv, Pd, Psi e Udc) di bypassare una delle tante strutture commissariali, la Stm (tecnica di missione), imposta dal governo nazionale per decidere sulla ricostruzione e dove «siedono solo decisori che non vivono qui, nei paesi del Cratere», come hanno ricordato molti dei consiglieri intervenuti. Sarà una struttura tecnica comunale, ora, a dettare i piani per la ricostruzione cosiddetta pesante, dei centri storici e delle case gravemente lesionate.
Solo ai Vigili del fuoco va l'abbraccio collettivo degli aquilani. Li chiamano «angeli» e «compagni», e che meritino tutto il rispetto lo si capisce da come si commuovono ancora davanti alle terribili storie di sofferenza dei terremotati. «Non siamo qui per rivendicazioni sindacali anche se dopo gli elogi siamo stati trattati peggio di altri lavoratori; siamo qui per dire che la sicurezza ha un costo, come ha detto lo stesso Tremonti che non vuole pagarlo». Vengono da Alessandria e dalla Sicilia. Le tavole di sostegno ai palazzi con incisi i loro stemmi stanno ancora lì a marcire nel centro storico. «Non a caso si chiamano opere provvisionali - spiega Vladimiro Alpa, piemontese - possono reggere un paio di inverni non di più». «Siamo arrivati all'Aquila con gli stessi mezzi comprati per l'Irpinia». In città c'erano 12 pompieri, la notte del sisma. Stesso organico di oggi, con una cinquantina di unità in più inviate, fino al 31 giugno secondo l'ultima ordinanza commissariale, per lavorare alla rimozione delle macerie e alla messa in sicurezza. Pochi mezzi e paghe da fame, niente a che vedere con i compensi dei decisori della Stm.
Questa notte, quando alle 3.32 scoccheranno i 308 rintocchi della campana delle Anime sante in piazza Duomo per ricordare i morti, vittime della speculazione e della propaganda più che del sisma, non ci sarà nessuno del governo, come hanno chiesto le stesse associazioni cittadine e dei familiari. Aspetteranno tutti a braccia aperte solo Giorgio Napolitano, che domani alle 12 «parteciperà» (lo ha annunciato il sindaco Cialente) alla messa solenne nella Basilica di Collemaggio.
4 aprile 2011 - Il Centro
IN PIAZZA DUOMO
I vigili del fuoco incontrano oggi la popolazione aquilana
L’AQUILA - Una riflessione sulle drammatiche fasi del soccorso post sisma, sulla controversa ricostruzione, a due anni dalla tragedia, e sulla militarizzazione imposta alle zone terremotate, che ha trasformato L’Aquila in una «zona rossa», privando i cittadini dei loro diritti ed escludendoli dalle scelte politiche sul loro futuro: questi i contenuti del dibattito in programma oggi in piazza Duomo, all’Aquila, a partire dalle 15, organizzato dall’Usb, Unione sindacale di base, che vedrà Vigili del Fuoco a confronto con gli aquilani. Per i Vigili la sorte non è stata migliore rispetto a quella dei cittadini: da anni costretti a operare sotto gli standard minimi di soccorso a causa dei tagli generalizzati dei vari governi - si legge in una nota - «sono stati spogliati dei loro diritti personali e sindacali e trasformati in un ulteriore soggetto impegnato nella sicurezza».
Lo testimonia, prosegue il documento, «la recente emergenza nella provincia di Taranto, dove i Vigili del Fuoco sono stati obbligati, dopo ore di soccorso, a rinunciare al riposo e partire da tutta Italia per montare le tende a Manduria, dove da sei giorni rimangono in pessime condizioni logistiche e igienico-sanitarie, senza sapere per quanti giorni si protrarrà il loro lavoro o quando verrà inviato personale per il cambio». Vigili del fuoco della Usb e il popolo aquilano discuteranno insieme di come uscire dalla militarizzazione.
3 aprile 2011 - Ansa
TERREMOTO: VIGILI DEL FUOCO DOMANI A CONFRONTO CON AQUILANI
RIFLESSIONE SU RICOSTRUZIONE E RUOLO CORPO NAZIONALE IN SOCCORSI
(ANSA) - L'AQUILA, 3 APR - Una riflessione sulle drammatiche fasi del soccorso post sisma, sulla controversa ricostruzione, a due anni dalla tragedia, e sulla militarizzazione imposta alle zone terremotate, che ha trasformato L'Aquila in una «zona rossa», privando i cittadini dei loro diritti ed escludendoli dalle scelte politiche sul loro futuro: questi i contenuti del dibattito in programma domani, in piazza Duomo, all'Aquila, a partire dalle 15, organizzato dall'Usb, Unione sindacale di base, che vedrà Vigili del Fuoco a confronto con gli aquilani. Per i Vigili la sorte non è stata migliore rispetto a quella dei cittadini: da anni costretti a operare sotto gli standard minimi di soccorso a causa dei tagli generalizzati dei vari governi - si legge in una nota - «sono stati spogliati dei loro diritti personali e sindacali e trasformati in un ulteriore soggetto impegnato nella sicurezza». Lo testimonia, prosegue il documento, «la recente emergenza nella provincia di Taranto, dove i Vigili del Fuoco sono stati obbligati, dopo ore di soccorso, a rinunciare al riposo e partire da tutta Italia per montare le tende a Manduria, dove da sei giorni rimangono in pessime condizioni logistiche e igienico-sanitarie, senza sapere per quanti giorni si protrarrà il loro lavoro o quando verrà inviato personale per il cambio». Vigili del Fuoco della Usb e il popolo aquilano discuteranno insieme di come uscire dalla militarizzazione, di come riappropriarsi delle zone rese inaccessibili e di come il Corpo Nazionale debba essere messo nelle condizioni di svolgere il ruolo sociale che gli compete, alla guida del sistema di Protezione Civile.
3 aprile 2011 - Adnkronos
TERREMOTO: DOMANI ALL'AQUILA
VIGILI DEL FUOCO INCONTRANO CITTADINI
Roma, 3 apr. - (Adnkronos) - Si svolgera' domani nella piazza centrale de L'Aquila il dibattito aperto organizzato dall'Unione Sindacale di Base che vedra' i lavoratori dei Vigili del Fuoco a confronto con i cittadini aquilani. Parteciperanno comitati dei cittadini, parlamentari, esponenti sindacali, giornalisti, documentaristi. ''Obiettivo dell'incontro - spiega una nota dell'Usb - e' riflettere, a due anni dal sisma, sulle drammatiche fasi del soccorso, sulla controversa ricostruzione e sulla militarizzazione imposta alle zone terremotate, che ha trasformato L'Aquila in una 'zona rossa' privando i cittadini dei loro diritti ed escludendoli dalle scelte politiche sul loro futuro''. ''Per i Vigili del Fuoco la sorte non e' stata migliore: da anni costretti a operare sotto gli standard minimi di soccorso a causa dei tagli generalizzati dei vari governi, sono stati spogliati dei loro diritti personali e sindacali e trasformati in un ulteriore soggetto impegnato nella sicurezza - si legge ancora nella nota - Come testimonia la recente emergenza nella provincia di Taranto, dove i Vigili del Fuoco sono stati obbligati, dopo ore di soccorso, a rinunciare al riposo e partire da tutta Italia per montare le tende a Manduria, dove da sei giorni rimangono in pessime condizioni logistiche e igienico-sanitarie, senza sapere per quanti giorni si protrarra' il loro lavoro o quando verra' inviato personale per il cambio''. ''I Vigili del Fuoco della Usb e il popolo aquilano - conclude la nota - discuteranno insieme di come uscire dalla militarizzazione, di come riappropriarsi delle zone rese 'inaccessibili' e di come il Corpo Nazionale debba essere messo nelle condizioni di svolgere il ruolo sociale che gli compete, alla guida del sistema di Protezione Civile''.
2 aprile 2011 - Il Manifesto
È caos tendopoli. Berlusconi: «Sono solo provvisorie. Procederemo con i rimpatri». Ma le Regioni non ci credono. Vasco Errani: «Sono ingestibili». Nella gestione demenziale i Vigili del Fuoco denunciano: «Noi, spostati da nord a sud senza un piano»
Maroni nel pallone
ROMA - Contrordine, dietrofront. Dopo essere stati mobilitati la sera del 31 marzo alle ore 20 in tutta la regione Piemonte, essere confluiti a Torino, essersi quindi diretti a Piacenza a ritirare alcune tende prestate da una struttura della protezione civile, i Vigili del Fuoco di tutte le province del Piemonte (in totale 167 uomini) alle due di notte hanno iniziato a montare le strutture per la tendopoli che avrebbe dovuto ospitare duemila migranti nell'Arena Rock di Torino. Era stato stabilito in una riunione convocata dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco del ministero dell'Interno nel pomeriggio di giovedì. Tutto deciso, allora. No: ieri pomeriggio alle 15 il contrordine via fax: «l'intervento è sospeso a tempo indeterminato». E i vigili, increduli, hanno cominciato a smontare le tende appena messe in piedi. Increduli, e pure un po' arrabbiati. Per loro significa: essere stati convocati per via urgente di sera, avere iniziato un turno di 24 ore che poi però, vista l'interruzione dell'«emergenza», li porterà questa mattina ad essere di nuovo pronti per l'ordinario servizio di dodici ore. Cos'è successo? Che il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, aveva inviato un comunicato stampa e contattato il ministero: «Nessuno ci ha avvertito, l'Arena è stata promessa a maggio per il raduno degli alpini». Il raduno degli alpini, certo. E magari anche le elezioni comunali, in data anche quelle per lo stesso mese.
Ancora: dietrofront contrordine. Siamo di nuovo in Piemonte, stavolta in provincia di Alessandria. I Vigili del Fuoco, ancora loro, sono stati inviati ieri con la stessa procedura di urgenza ad Occimiano. Obiettivo, anche qui, costruire una tendopoli. Stavolta in una struttura del ministero della Difesa. Erano arrivate rassicurazioni: procedete, si tratta di un'area dismessa. Dismessa sì, ma da parecchio tempo. Tanto da essere un acquitrino. E non solo: nelle casette che compongono parte della struttura sono stati scoperti tetti di amianto. Una relazione dei vigili e della prefettura ha chiesto lo stop. Tutto rimandato al prossimo martedì, dopo l'incontro settimanale della «cabina di regia» che dovrà fare il punto sulla situazione.
Punto, punto e virgola, due punti. Viene davvero in mente Totò a seguire la rocambolesca gestione dell'emergenza firmata Roberto Maroni. Il ministro dell'Interno pare proprio non sapere dove mettere le mani. Neppure la presenza del premier Silvio Berlusconi che ha assicurato la «provvisorietà» delle tendopoli è riuscita a smuovere di un centimetro Regioni e Province. Ieri, nel primo incontro della «cabina di regia» - luogo deputato per coordinare l'emergenza tra ministeri e enti locali - il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani è stato chiaro: «Le tendopoli non sono gestibili, e nessuno le vuole». «Neanche quelle provvisorie», ha aggiunto dopo che tramite comunicati stampa il governo aveva provato a far credere che almeno su questo ci fosse convergenza.
Ma aldilà delle schermaglie politiche il problema è a monte. La strampalata gestione dell'emergenza del ministro Maroni sta disegnando un nuovo modello che fa fuori la Protezione civile e il Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del dopo-Bertolaso e apre la strada ai Vigili del Fuoco. Il cui capo, Alfio Pini, si dice sia molto vicino alla Lega nord. Ma l'utilizzo dei vigili sta avvenendo fuori dalle normali procedure: il corpo dovrebbe intervenire solo per «soccorso tecnico urgente», cioè quando c'è una calamità. Non per montare tendopoli che potevano essere organizzate in tutta calma, visto che gli sbarchi sono iniziati da mesi. Farglielo fare, invece di rivolgersi alle protezioni civili regionali, ha un costo. Prendi il caso Manduria: «Per costruire la tendopoli sono stati mobilitati i comandi di sei regioni: Toscana, Emilia, Umbria, Campania, Puglia e Sicilia - racconta Antonio Jiritano del coordinamento nazionale Usb dei vigili del Fuoco - un totale di circa 300 uomini che sono stati catapultati in Puglia, dove hanno lavorato in condizioni indecenti: né bagni, né alloggi. Sono stati costretti a dormire nei mezzi». Mezzi che, invece di essere trasportati da luoghi vicini a Taranto, sono partiti, ad esempio, dall'Emilia e dalla Toscana. Da Grosseto si sono messi in marcia sette uomini con un rimorchio, un autoarticolato, una ruspa e alcuni mezzi leggeri. Tutte macchine vecchissime e lentissime. Come se non bastasse i vigili del fuoco della Toscana dopo tre giorni sono stati richiamati in sede: andava costruita la tendopoli di Coltano, in provincia di Pisa. Ma anche in questo caso: contrordine, dietrofront. Coltano è saltata dopo la protesta di cittadini e istituzioni. Lo stesso è accaduto ai vigili di Ferrara, richiamati per la costruzione di una tendopoli che poi è stata bloccata perché doveva sorgere in un parco naturale.
Il sindacato di base Usb ora è sul piede di guerra: «L'ingegnere Pini ha fatto trasparire sin dai primi giorni del suo insediamento le sue simpatie per la Lega nord - dice Vladimiro Alpa, del coordinamento nazionale - e con questa operazione di mobilitazione fantozziana dei Vigili del Fuoco, che neppure a Mussolini era riuscita cosi bene, ha dimostrato la sua incondizionata fedeltà al ministro Maroni. A seguito della militarizzazione dei Vigili del fuoco - continua Alpa - ormai obbediamo ciecamente agli ordini "semper fidelis" spostandoci da nord a sud e da sud a nord come in transumanza».
2 aprile 2011 - Articolo 21
Aquila, il 4 aprile popolazione e vigili del fuoco a confronto
Riceviamo e di seguito pubblichiamo:
Si svolgerà il prossimo 4 aprile nella piazza centrale de L’Aquila il dibattito aperto organizzato dall’Unione Sindacale di Base che vedrà i lavoratori del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco a confronto con i cittadini aquilani. Parteciperanno comitati dei cittadini, esponenti politici e sindacali, giornalisti, documentaristi. A due anni dal sisma si intende riflettere sulle drammatiche fasi del soccorso, sulla controversa ricostruzione e sulla militarizzazione imposta alle zone terremotate, che ha trasformato L’Aquila in una "zona rossa" privando i cittadini dei loro diritti ed escludendoli dalle scelte politiche sul loro futuro. Per i Vigili del Fuoco la sorte non è stata migliore: da anni costretti ad operare sotto gli standard minimi di soccorso a causa dei tagli generalizzati dei vari governi, sono stati spogliati dei loro diritti personali e sindacali e trasformati in un ulteriore soggetto impegnato nella sicurezza. Come testimonia la recente emergenza nella provincia di Taranto, in cui i Vigili del Fuoco sono stati obbligati, dopo ore di soccorso, a rinunciare al riposo e partire da tutta Italia per montare le tende a Manduria, dove da sei giorni rimangono in pessime condizioni logistiche e igienico-sanitarie, senza sapere per quanti giorni si protrarrà il loro lavoro o quando verrà inviato personale per il cambio. I Vigili del Fuoco della USB ed il popolo aquilano discuteranno insieme di come uscire dalla militarizzazione, di come riappropriarsi delle zone rese "inaccessibili" e di come il Corpo Nazionale debba essere messo nelle condizioni di svolgere il ruolo sociale che gli compete, alla guida del sistema di Protezione Civile.
Interverranno:
Franca Biondelli – Senatrice, PD
Manuele Bonaccorsi – giornalista Left Avvenimenti, autore del libro "Potere assoluto"
Un rappresentante del Comitato Casa dello studente
Piero De Santis – ARA, Associazione Ricostruzione L’Aquila
Samanta Di Persio – scrittrice, autrice del libro "Ju tarramuto"
Un rappresentante della Fondazione 6 Aprile
Antonio Jiritano – USB P.I. VV.F.
Enrico Perilli – Consigliere Comune de L’Aquila, PRC
Alberto Puliafito – giornalista e documentarista, autore del film "Comando e controllo"
Sara Vegni – Comitato 3e32
1 aprile 2011 - Radiogold
Nessuna zona idonea in provincia per ospitare i profughi
di Elena Rossi
Alessandria - L'alessandrino non ospiterà i profughi in fuga in questi giorni dai loro paesi. Ieri si era diffusa la voce che l'ex polveriera di Occimiano, nel casalese, potesse essere impiegata a questo scopo, ma l'area è risultata inadatta per le sue pessime condizioni strutturali. In serata il vice Prefetto di Alessandria Paolo Ponta ha confermato che in provincia non è stata trovata alcuna zona idonea. Una tendopoli sarà, invece, allestita a Torino, nell'area dell'Arena Rock, accanto al nascente stadio della Juventus. La struttura era stata creata qualche anno fa, per accogliere i megaconcerti rock, ma non ha avuto fortuna: per lo più inutilizzata si è trasformata in una cattedrale nel deserto. La provincia di Alessandria darà il suo contributo alla costruzione della tendopoli, che conterrà 2000 profughi in 260 tende. Il sindacato autonomo Usb dei Vigili del Fuoco ha espresso preoccupazione per l'impiego di personale in questa operazione, per la carenza di uomini e mezzi già nei normali turni di lavoro. Secondo il segretario provinciale Usb Giovanni Maccarini, inoltre, non ci sarebbe chiarezza nella divisione di compiti e responsabilità
1 aprile 2011 - Left
TENDE CON LE SBARRE
A Manduria, nei pressi di Taranto, il governo allestisce in fretta e furia un campo che ospiterà oltre tremila persone. A gestirlo, il consorzio Connecting people, specializzato nella gestione dei Cie, le galere per migranti
di ROCCO VAZZANA
Stipare persone finché c’è spazio, poi si vedrà. È più o meno questa la strategia che il ministero dell’Interno ha studiato per affrontare l’emergenza immigrati in Italia. E a Manduria, in provincia di Taranto, il piano approntato da Maroni prende forma. Nel giro di poche ore è sorta una tendopoli in un aeroporto militare in disuso. Un non luogo giuridico che nessuno è in grado di definire. Qualcuno lo chiama un Cie (Centro di identificazione ed espulsione), qualcuno Cara (Centro d’accoglienza per richiedenti asilo) e altri ancora Cpa (Centro di prima accoglienza). Il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, ha addirittura inventato una definizione nuova di zecca per il campo di Manduria. Si tratterebbe di un Cai, neologismo che starebbe per Centro di accoglienza e identificazione, che non trova però alcun riscontro nella letteratura giuridica del Paese. Ma il governo non ha tempo da perdere dietro alle definizioni che hanno a che fare con i diritti di chi fugge dal Nordafrica. Non è solo una questione di sfumature. Ogni sigla nasconde un regime normativo diverso. Se fosse un Cie, ad esempio, si tratterebbe praticamente di una struttura detentiva. Se fosse un Cara, invece, le persone avrebbero libertà di movimento.
Il governo glissa anche sui numeri. Inizialmente, Manduria avrebbe dovuto ospitare 500 cittadini tunisini trasferiti da Lampedusa. Ma nel giro di poche ore gli ospiti sono diventati circa 1.200, ammassati in tende da 8 posti. Mantovano però si è sbilanciato, parlando di una capienza massima di 1.500 persone. Una dichiarazione da prendere con le pinze, visto che i Vigili del fuoco impegnati a Manduria dicono di aver già montato 430 tende. Calcolatrice alla mano, la capienza del campo, in questo momento è dunque già di 3.340 posti. «Emergenza non significa confusione - dice Antonio Jiritano, vigile del fuoco della direzione nazionale di Usb -. Le emergenze devono essere pianificate.
Qui sembra tutto affidato al caso.
Hanno fatto venire più di 300 pompieri da tutta Italia per allestire questo campo che sembra non avere alcuna logica. Mancano persino i servizi. Per lavarci dobbiamo usare gli idranti delle autobotti». A differenza degli altri centri allestiti in fretta e furia, qui non c’è traccia di Protezione civile e Croce rossa. A gestire il campo pugliese c’è il consorzio siciliano Connecting people, che si occupa di «migranti e migrazioni attraverso la gestione di progetti di accoglienza e inclusione sociale e la realizzazione di iniziative formative e culturali». In realtà il consorzio è una sorta di ditta specializzata nella gestione delle strutture detentive per immigrati in Italia. E in Puglia opera già da tempo nel Cie di Restinco, a Brindisi. Ma le sue competenze vanno oltre il tacco dello Stivale. Connecting people, infatti, è presente anche nel Cie di Trapani e in quello famigerato di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), dove i migranti lamentano spesso maltrattamenti e tentano la fuga.
Come in un Cie, le persone ospitate a Manduria non possono uscire. Devono rimanere sempre all’interno della tendopoli senza una giustificazione precisa. Ma quanto costa allo Stato questo campo? Anche questa domanda è desinata a rimanere senza una risposta chiara. «Non conosciamo stime ufficiali - spiega Nicola Fratoianni, assessore regionale alle Politiche giovanili e alla Cittadinanza sociale -. La Regione è stata completamente estromessa dalle decisioni del ministero. Secondo alcune voci, i costi di allestimento del campo si aggirano attorno ai 2 milioni di euro. Per la gestione, invece, si spendono circa 500mila euro al mese». E l’Amministrazione regionale pugliese, col governatore Vendola in testa, ha polemizzato duramente con Maroni per l’assenza di trasparenza. «La cosa grave - precisa Fratoianni - è che hanno creato questo campo nel giro di poche ore, due giorni prima dell’incontro tra i governatori e il Viminale, in modo tale da non dover discutere con le istituzioni locali. Il Comune è stato avvertito a cose fatte e al sindaco sono stati assegnati i poteri straordinari». Intanto, mentre Maroni riflette sul da farsi, i primi migranti cominciano a fuggire da Manduria. Hanno capito che anche dall’Italia è meglio scappare.