Precarizzare il precariato....

Roma -

Non bastava la finaziaria del Governo di 24 MLD dove taglia i soldi al Ministero dell'Interno e di conseguienza ai Vigili del Fuoco - con la riduzione del 50% dei richiami del personale discontinuio per il prossimo futuro, personale ad oggi indispensabile per assiciurare il soocorso alla popolazione, ora ci si mette anche il collegato al lavoro a precarizzare il precariato !!!


Collegato lavoro: un altro attacco ai precari 1 novembre 2010

Il ddl lavoro dal governo è divenuto noto per gli attacchi sull’arbitrato delle controversie sul lavoro e per l’abbassamento di fatto dell’obbligo scolastico a 15 anni, ma c’è un altro aspetto. Se ne parla meno, ma non è meno grave degli altri: riguarda i precari e in sostanza riduce ulteriormente i già ristretti margini per portare in tribunale i contratti illegittimi. L’ennesima norma per rendere i padroni più forti e i lavoratori più ricattabili. Ne parla molto bene Pierluigi Alleva in questo articolo del 24 ottobre su Liberazione che riporto di seguito.

Precari attenti, cercano di fregarvi

Tra le molte novità negative che si leggono nel “collegato lavoro” – ossia nella pessima legge antisociale sulla quale il centrodestra ha ritrovato, non per nulla, una transitoria unità – ne va subito segnalata, “a sirene spiegate”, una assai grave e quanto mai pericolosa per il destino di decine e centinaia di migliaia di lavoratori precari, e per la quale occorre subito organizzare un rimedio. E’ infatti una questione da cui può derivare ai precari un grande male, ma che può anche – e questo è l’aspetto singolare – rovesciarsi nel suo contrario, in un grande fatto positivo, ossia nel sospirato ottenimento di un posto di lavoro stabile, se sindacati, partiti progressisti, associazioni democratiche e, ovviamente, gli stessi lavoratori sapranno esser capaci di un adeguato sforzo sia informativo che organizzativo. Ecco di cosa si tratta. Fino ad ora, ossia fino all’entrata in vigore del “collegato lavoro”, era possibile impugnare in giudizio i contratti di lavoro precario di qualsiasi tipo (a termine, di lavoro somministrato o interinale, di lavoro “a progetto” ecc.), che presentassero illegittimità formali e sostanziali e chiederne la trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato, in qualsiasi tempo successivo alla data di scadenza del contratto stesso, senza pericolo di incorrere nella “tagliola” del termine di decadenza di 60 giorni previsto, fin dalla legge n. 604/1966, per la impugnazione di un normale licenziamento da un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In altre parole, il lavoratore licenziato da un contratto di questo tipo doveva e deve “farsi vivo” con una lettera raccomandata di impugnazione entro 60 giorni dal licenziamento: se spediva questa lettera poi aveva cinque anni per iniziare la controversia giudiziaria, ma se non la spediva il suo licenziamento, anche se illegittimo, diventava inoppugnabile e irrimediabile. Invece, il lavoratore precario che fosse stato estromesso dal posto di lavoro per scadenza del termine previsto nel contratto di lavoro precario poteva far valere la eventuale illegittimità e ottenere la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato anche dopo molti mesi e persino anni dalla sua estromissione dal posto di lavoro. Era giusta questa differenza e come si spiegava dal punto di vista tecnico-giuridico? Certamente era giusta, perché rifletteva la diversità di atteggiamento psicologico tra i due lavoratori: quello titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che viene licenziato prende subito atto della circostanza che, seppur ingiustamente, la ditta non vuole avere più nulla a che fare con lui, che lo scaccia per sempre e quindi 60 giorni sono sufficienti per decidere se entrare o meno in controversia. Il lavoratore precario il quale invece viene “lasciato a casa” per il fatto “obiettivo” della scadenza del contratto, senza che gli venga fatto addebito alcuno, spera sempre che la ditta lo richiami con ulteriori contratti precari, e che prima o poi lo stabilizzi: per questo è molto restio ad impugnare il contratto precario appena scaduto, anche se sospetta che sia illegittimo, perché non ha, ovviamente, la certezza del risultato giudiziale e teme, intanto, di guastarsi con quel datore di lavoro, perdendo ogni speranza di richiamo. Solo dopo molto tempo, a mesi o anni di distanza, quando ogni speranza sarà svanita, si deciderà liberamente alla controversia. Dal punto di vista tecnico-giuridico la differenza si spiega perché il licenziamento è un atto di volontà del datore di lavoro, che scioglie un rapporto contrattuale esistente, e quindi va impugnato nei 60 giorni, mentre la comunicazione che “lascia a casa” il lavoratore precario per scadenza del termine non è un atto di volontà ma solo un atto “di scienza”, una sorta di fotografia della situazione. Però, se la situazione era in realtà diversa perché il contratto precario era per qualche motivo illegittimo e quindi automaticamente trasformato dalla legge in rapporto a tempo indeterminato, questa è la situazione che viene poi accertata dalla sentenza, senza bisogno di previa impugnazione nei 60 giorni della nullità del termine di scadenza. Contraddicendo a questa giurisprudenza consolidata, il “collegato lavoro” ha introdotto la necessità di impugnare con raccomandata il contratto precario nel termine di 60 giorni dalla sua (apparente) scadenza e una volta fatto questo di procedere poi in giudizio nei 270 giorni successivi. Dal punto di vista della teoria giuridica si tratta di obbrobrio (in linea generale le nullità possono essere fatte valere in qualsiasi tempo), ma quel che importa è la portata giuridico-politica dell’operazione: si tratta niente di meno che di una sorta di “sanatoria permanente” delle diffusissime illegittimità dei contratti di lavoro precari, perché il lavoratore dovrebbe impugnare entro 60 giorni dalla scadenza, e, come detto, quasi mai lo farà, nella speranza di esser richiamato. E poi non potrà più farlo. E’ un calcolo cinico e vile, del tutto degno di quel gruppetto di transfughi ex sindacalisti che sono divenuti gli esperti e protagonisti della politica antisociale del berlusconismo ed è un calcolo che occorrerà contrastare in sede di Corte costituzionale oltre che di programma per un futuro diverso governo. Ma vi è di peggio, molto di peggio e veniamo finalmente al punto che massimamente interessa: cosa accade, allora, per i contratti precari illegittimi già scaduti da più di 60 giorni al momento di entrata in vigore del “collegato lavoro”? Sono decine e centinaia di migliaia i lavoratori ex titolari dei medesimi che avrebbero potuto liberamente ancora per mesi e anni in futuro richiedere la loro trasformazione in contratti di lavoro a tempo indeterminato domandando al giudice sia la reintegra in servizio sia le competenze arretrate. Ovviamente, neanche il “collegato lavoro” ha potuto, per evidenti ragioni di costituzionalità, stabilire una semplice cancellazione retroattiva del diritto di azione per l’impugnazione di rapporti precari già scaduti da più di 60 giorni ed allora ha previsto, invece, che possano essere impugnati entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore. Ciò si legge nell’articolo 32 comma IV, lettere b e d. E’, comunque, un gigantesco colpo di spugna, una enorme sanatoria, perché trascorsi da adesso 60 giorni tutte le illegittimità passate saranno cancellate in quanto quelle centinaia di migliaia di lavoratori perderanno il diritto di far trasformare il vecchio contratto precario illegittimo in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato valido per il passato e per il futuro. Ma poiché del “collegato lavoro” nessuno parla, ed a quei pochi che ne parlano è semplicemente sfuggita questa maxi sanatoria annidata tra le sue previsioni, il piano del centrodestra e del padronato avrebbe, nell’insieme, ottime possibilità di riuscita. Per fortuna c’è un rovescio della medaglia: quella previsione per cui bisogna, in sintesi, impugnare ora o mai più nei 60 giorni, è anche una gigantesca “chiamata alle armi”, una fortissima sirena di allarme, purché qualcuno voglia suonarla, che chiamerà a raccolta tutti coloro che sono stati titolari di rapporti precari, allo scopo di spedire subito, senza guardare per il sottile, una raccomandata di impugnazione dell’illegittimità del contratto precario e di richiesta di trasformazione a tempo indeterminato. Poi, nei 270 giorni successivi, si faranno analizzare i contratti stessi da esperti che individueranno esattamente le illegittimità: non bisogna però temere di avere – con l’impugnazione immediata nei 60 giorni – “sparato a vuoto”, perché tutti gli avvocati lavoristi sanno che almeno il 90% dei contratti precari è illegittimo, alla stregua della stessa “legge Biagi” e perfettamente trasformabile in rapporti a tempo indeterminato. La “cattiva novella” del “collegato lavoro” può allora divenire invece una buona, buonissima novella, perché darà la sveglia alle decine e centinaia di migliaia di persone, ex lavoratori precari, che oggi sono a casa nella depressione e nell’angoscia della disoccupazione. Essi non lo sanno, ma in realtà hanno in tasca il biglietto vincente della lotteria, ovvero il passaporto per un contratto di lavoro stabile, oltre che per un risarcimento. Basta che adesso corrano senza perder tempo, con il vecchio contratto precario scaduto in mano a far scrivere e spedire la lettera di impugnazione che deve partire nei 60 giorni. Ma dove devono andare in concreto? Da un esperto, da un legale lavorista, certamente, ma soprattutto da quelle organizzazioni, e cioè sindacati, partiti progressisti, associazioni democratiche alle quali spetta il compito complesso, ma tutt’altro che impossibile, di pubblicizzare al massimo con ogni mezzo di informazione quanto abbiamo qui spiegato, e poi di organizzare, con “banchetti”, “sportelli”, “punti di incontro” la raccolta delle firme e la spedizione delle raccomandate. Sessanta giorni sono pochi – è vero – ma se vi è la volontà politica sono più che sufficienti, agendo tutti senza gelosie di organizzazione, in uno sforzo comune, al quale ci sembra si addica molto il detto secondo il quale «poco importa che il gatto sia nero o bianco; importa che prenda i topi». Piergiovanni Alleva