LETTERE E BUFFONI MA IL CONTO CHI LO PAGA?

Lavoratori,

nel medioevo esistevano le compagnie di buffoni che giravano per le corti tentando di sopravvivere coi propri spettacoli. Il medioevo è alle spalle, e la corte oggi è una sola: quella di Bruxelles. La differenza è che i buffoni in Italia oggi hanno preso il trono del re e, dopo più di mezzo secolo di abbuffate e oscenità di vario genere, oggi passano alla cassa tentando di spiegare con parole loro che i soldi per pagare il conto non ce li hanno.

Banche italiane e istituti francesi, e poi ovviamente titoli di Stato, indici azionari e l’osservato speciale Btp. Tutti insieme, sono immersi, in un vortice ribassista che preoccupa sempre più e che nessun accordo, per ora, sembra in grado di frenare. L’allarme, insomma, resta elevato. Anche perché qualsiasi eventuale ripresa dei mercati finirebbe per essere interpretata più come il naturale rincorrersi di qualche rimbalzo piuttosto che come una nuova improbabile iniezione di fiducia. I mercati continuano ad essere instabili, non solo nel nostro Paese. Anche il Fondo monetario internazionale è pronto a chiedere liquidità ai cosiddetti "Brics" (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che potrebbero scambiare l'aiuto alle economie europee con un ruolo di primo piano nel gotha finanziario, ed in questi giorni Piazza Affari, continua a risultare la peggiore d'Europa. Oltre a ciò, l'Italia deve fare i conti anche con altri dati allarmanti, tipo, un giovane su tre non ha un lavoro. E' il dato più alto dal gennaio 2004, superiore di oltre otto punti percentuali rispetto alla media Ue.

Cioè si ha bisogno di ulteriore liquidità e visto che i contribuenti tradizionali, tra cui Usa, Gran Bretagna e persino la Germania, non hanno intenzione di mettere ancora mano al portafoglio ecco che l’invito si rivolge soprattutto agli “emergenti”. Cina, India, Brasile, Russia e Sudafrica percepiscono quindi la grande opportunità: sì a un intervento che stabilizzi l’economia mondiale ma nessun soccorso “gratuito”. Tradotto: i capitali offerti dalle nuove potenze economiche non serviranno soltanto a calmare i mercati tradizionali, ma permetteranno ai “Brics” anche di acquistare definitivamente un posto di privilegio nei massimi organismi finanziari del Pianeta. Affrontando con ben altro potere le annose discussioni sulle barriere commerciali che da sempre li contrappongono al blocco delle economie consolidate.
L’attenzione primaria si concentra sull’Italia, vera e propria chiave di volta della tempesta. Nella sua ultima lettera indirizzata a Roma, l’Europa ha messo sul tavolo le cifre: l’Italia, si è detto, dovrà riportare il suo debito a livelli sostenibili, non oltre il 113% del Pil entro il 2014. Fatti i conti si tratta di risparmiare 35 miliardi all’anno per tre anni, più o meno quanto previsto alla fine del 2010 dalla bozza del Patto di Stabilità Ue in cui, per la prima volta, si era chiesto ai Paesi membri di tenere sotto controllo non solo il deficit ma anche il debito, di cui veniva fissata una quota obiettivo pari al 60% del prodotto nazionale. L’operazione è particolarmente complicata anche perché presuppone che la crescita, già modesta, non rallenti ulteriormente.

La USB considera la consultazione con i lavoratori, la contrattazione collettiva, il dialogo sociale e le buone condizioni di lavoro come elementi chiave per realizzarne l’emancipazione. E’ quindi naturale rivolgere lo sguardo ad un sindacalismo europeo, il quale serve per parlare con una voce sola,, per conto dei lavoratori. Il suo ruolo nel processo decisionale europeo assume un’importanza crescente con lo sviluppo del processo di ristrutturazione che allarga l’attacco dell'Unione in materia di occupazione, politica economica e sociale. Il compito è quello di rivendicare un contratto europeo, attraverso il quale i lavoratori possano godere pienamente dei diritti umani, civili, sociali e dell’occupazione, nonché di un elevata qualità di vita.