LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO...

Nazionale -

Ciao Fabio,

quanto dolore, quanta rabbia alla notizia della tua decisione di farla finita. Non ci conoscevamo è vero, perché siamo talmente tanti che nessuno sa dirci quanti siamo, eppure esistiamo, anche se qualcuno fa finta di non accorgersene.

Io ce l’ho fatta è vero, e sono uno dei pochi ad avercela fatta, ma non dimentico. Io ho vissuto quello che hai vissuto tu, e so cosa si prova, ad allontanarsi dal proprio nucleo familiare e dalla propria terra per inseguire un “sogno”, quella di sentirsi utile per gli altri, in prima linea da protagonista.

Quanti e quali sacrifici, quante discussioni in famiglia nelle relazioni amicali e sentimentali, quanti pianti, hai dovuto affrontare, quante angherie hai dovuto sopportare, tu non hai più voce per raccontarlo, perché quella condizione opprimente ed insopportabile ti si è stretta intorno al collo fino ad ucciderti.

Ma lucidamente prima di lasciare questo ingiusto e corrotto mondo, l’hai voluto denunciare in una lettera nella quale descrivendo la precarietà come una prigione auguri agli altri colleghi di potercela fare, che non accada quello che è successo a te.

Di quella tua lettera, caro Fabio, noi ne faremo una bandiera e non smetteremo di sventolarla fino a ché anche l’ultimo collega precario non raggiunga quella stabilizzazione lavorativa che ognuno di noi si è guadagnato nei tanti, troppi anni, vissuti come hai fatto te, lavorando prima per venti giorni alla volta poi ridotti a miseri quattordici giorni, perché l’intenzione è quella di strappare ai precari, ancora ed ancora pezzi di salario, impedendo il legittimo riconoscimento al TFR ed alla tredicesima.

Non ci stiamo Fabio, perché quello che ti è accaduto non doveva accadere, perché non sei il primo ma vogliamo che tu sia l’ultimo, perché se fosse arrivata prima la stabilizzazione tu saresti molto probabilmente ancora tra noi.

Proprio per questo, torneremo a rivendicare in tutti i luoghi ove porteremo il conflitto, le giuste ragioni che erano le tue e sono le nostre e di tutte quelle decine di migliaia di precari che come te sono costretti a questa coatta prigionia.

Tu non sei morto, tu sei passato a miglior vita e la tua storia verrà impressa nelle nostri carni e nelle nostre menti, da ieri non c’è più un solo Fabio, ma decine di migliaia perché ognuno di noi porterà con sé la tua storia, quella di Marco e di tutti coloro che si sono battuti ma il loro tempo è stato troppo breve per veder realizzate le legittime e giuste aspettative ad un lavoro dignitoso.

Oggi è un giorno di lutto ed in silenzio ci raccogliamo in un abbraccio virtuale intorno a te, ma da domani, stanne certo, torneremo ad urlare contro questo sistema che ci condanna e ci vuole sconfitti e silenti.

Non permetteremo più a burocrati in giacca e cravatta chiusi nei loro comodi e lussuosi uffici di calpestare, offendere ed insultare la dignità delle persone, scaricando le proprie responsabilità e trattando asetticamente e con distacco chi come noi discontinui ha servito questo Stato, ritenendoci uguali nei rischi e nel dovere ma mai nei diritti, che si ricorda di noi al bisogno e ci scarica nel momento in cui non serviamo più, disconoscendo la nostra professionalità per abbandonarci al nostro destino al raggiungimento di assurdi limiti d’età che non trovano alcuna valida giustificazione, perché se è vero come è vero che l’età media del Corpo nazionale è di 52 anni, un ragazzo di 41 anni, transitando nei ruoli permanenti può solo contribuire ad abbassare quella media. Ma questo non è un punto di vista, è matematica.


Ciao Fabio, che la terra ti sia lieve.


I discontinui tuoi fratelli