La difesa civile - un po di storia
Dal libro: "potere assoluto - la Protezione civile al tempo di Bertolaso" di Manuele Bonaccorsi
"Non è nuova l’idea di rendere la Protezione civile una copertura per altri obiettivi. Al contrario, la politica dell’emergenza ha sempre accompagnato la storia della Repubblica. Fin dalle origini, dalla prima legislatura, quella uscita dalle elezioni del ’48. È il 14 ottobre 1950 quando quattro ministri del governo De Gasperi presentano un disegno di legge dal titolo “Disposizioni per la protezione della popolazione civile in caso di guerra o calamità (difesa civile)”. Primo firmatario è il ministro degli interni, Mario Scelba, uomo di punta della destra democristiana, tristemente famoso per il vasto utilizzo della Celere nella repressione di manifestazioni di piazza, a partire da quelle sindacali. […] Il testo prevede di costituire presso il Ministero degli Interni la «Direzione generale per i servizi di difesa civile». Col compito di intervenire «in caso di eventi che costituiscano pericolo o danno per la incolumità pubblica delle persone e la salvezza delle cose o compromettano il funzionamento dei servizi indispensabili per la vita delle popolazioni stesse» (articolo 2). Sembra un testo innocuo. Ma nasconde molto di più. [...] Afferma la relazione di minoranza, a firma dell’ex ministro dell’agricoltura Fausto Gullo: «Attraverso l’apparentemente innocua istituzione di una nuova direzione generale, si consente al potere esecutivo l’esercizio di eccezionali e incontrollate facoltà in contrasto con tutte le garanzie costituzionali […] come ribadito, senza reticenze, dal ministro degli Interni. Il quale non ha esitato a dichiarare che tra i motivi di pericolo per la sicurezza del Paese, atti a mettere in moto il meccanismo coattivo predisposto col disegno di legge, sono anche da includere agitazioni popolari e scioperi». Il deputato socialista Lelio Basso, l’8 maggio, denuncia: «Non si tratta soltanto di calamità naturali o di guerra: la dizione è estremamente ambigua e lata e comprende l’ipotesi di uno sciopero, per esempio, dei panettieri che minacci di lasciare senza pane la popolazione. Secondo la dizione di questa legge è naturale che il governo avrebbe diritto di intervenire e requisire le prestazioni personali degli scioperanti per obbligarli a lavorare, venendo in tal modo ad annullare il contenuto del diritto di sciopero sancito dalla Carta costituzionale». Lo scontro tra maggioranza e opposizione si concentra in particolare su due articoli. Il numero 4 prevede la possibilità di requisire non solo beni, ma anche «prestazioni personali», cioè “lavoro umano”, «in caso di pericolo per la sicurezza del Paese, riconosciuti con deliberazione del Consiglio dei ministri». [...] Il testo di Scelba rispolvera, in questo caso, una legge fascista, (decreto 18 agosto 1940 n. 1741), rimasto in vigore solo durante gli anni della guerra. Ma ciò che più suscita l’indignazione dell’opposizione parlamentare è la possibilità da parte del ministro degli Interni, prevista all’articolo 6, di «avvalersi di personale volontario da iscriversi in appositi quadri, che è chiamato a prestare la sua opera sia per l’addestramento ai servizi suddetti che per l’impiego». Sono passati poco più di cinque anni dalla caduta del fascismo, ed è facile vedere, nella proposta del ministro Scelba, il ritorno, sotto velate spoglie, di milizie paramilitari. Che il rischio fosse tutt’altro che campato in aria lo dimostra la risoluzione approvata dal Congresso nazionale dei partigiani cattolici, allora diretti dal futuro presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Che si candida a svolgere il prezioso ruolo di tutore dell’ordine parallelo, in sostegno alla celere di Scelba. Ecco i compiti che i partigiani bianchi intendevano darsi: «1) Sorvegliare nelle fabbriche e negli uffici ogni nucleo promotore della disobbedienza, che è un larvato sabotaggio, degli attentati alla libertà di associazione e di lavoro, delle minacce contro l’efficienza e la produttività delle imprese. 2) Opporsi all’attuazione dei temi politici di disobbedienza civile sia aperta sia mascherata dai fini sindacali. 3) Scoprire e sventare tentativi di creare organizzazioni clandestine, abbiano o no carattere militare. 4) Sorvegliare e segnalare tutte le fonti di finanziamento dell’avversario e prendere misure adeguate in merito. 5) Prevenire e concorrere a reprimere i rilievi e le segnalazioni clandestine di centri nevralgici della nazione, sia civili che militari. 6) Concorrere con le forze dell’ordine alla scoperta di nascondigli di armi e munizioni, a svelare le fonti, i metodi e i mezzi sovversivi di rifornimento e di ogni altra attività connessa. 7) Opporsi all’avvelenamento sistematico delle coscienze e impedire che i più deboli soggiacciano alla propaganda avversaria, specialmente se accompagnata da forme di coercizione. 8) Ostacolare la scalata comunista ai posti e alle posizioni di comando e di responsabilità». […] Lo scioglimento anticipato della legislatura […] impedisce l’approvazione definitiva del provvedimento. Tornerà alla carica, pochi anni dopo, [...] l’allora ministro degli Interni Fernando Tambroni, lo stesso che, a capo di un monocolore sostenuto dall’Msi, nel 1960 susciterà durissime proteste. E che nel reprimerle lascerà per strada 69 morti. Il testo di Tambroni è molto simile a quello di Scelba, solo appena più morbido, a partire dal titolo, dove scompare la difesa civile, e appare, per la prima volta, il termine «Protezione civile in caso di eventi bellici o calamità naturali». Anche in questo caso il testo non viene approvato. Ma il governo non sembra farne un dramma. Perché ciò che non era stato votato dal Parlamento era già attivo nei fatti. Il 23 settembre 1951 il governo aveva già istituito, con un atto discrezionale, il Dipartimento per la difesa civile. «È probabilmente intorno a quella divisione che l’onorevole Scelba applicò funzionari che già nel periodo fascista avevano fatto esperienza dei servizi segreti e di una polizia politica del tutto ignota almeno ufficialmente ai cittadini», scrive lo storico Nicola Tranfaglia. La difesa civile assume in quel periodo caratteri di segretezza, tramite strutture stay behind, «cioè organizzazioni in grado di posizionarsi dietro le linee di un fronte e agire all’interno di esso» (Tranfaglia). Uno Stato nello Stato, uno Stato duale, dove «delle élite istituzionali, a fini di conservazione, si costituisce in potere occulto, dotato di un proprio principio di legittimazione – estraneo e contrapposto a quello della costituzione formale – per condizionare stabilmente il sistema politico attraverso metodi illegali, senza giungere al sovvertimento dell’ordinamento formale», spiegano gli storici Paolo Cucchirelli e Aldo Giannulli. Si dipana da qui un lungo filo nero che porta a Gladio e all’epoca delle stragi. Seguirlo ci porterebbe troppo lontano. Ci conviene, dunque, fare un salto di molti anni. Al 2001, quando il 23 febbraio, il ministro Enzo Bianco trasforma la «Direzione generale dei servizi antincendio e Protezione civile», in Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. Alcuni mesi dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre fa tornare di moda l’epopea del fronte interno e dello stato di eccezione. Il piano di Scelba trova tardiva realizzazione proprio in quel periodo. […] La Protezione civile di oggi è senz’altro poco militaresca. E molto venale nel suo stringente interesse verso grandi eventi e appalti. Eppure, in certi casi, non disdegna di fare la faccia cattiva e di rimettersi in divisa. Accade a l’Aquila, con la militarizzazione del centro storico e dei campi. E a Napoli, con l’esercito a presidiare le discariche, definiti «centri di interesse strategico nazionale»."