VIDEOSORVEGLIANZA

Pescara -

 

Lavoratori,

questa volta non si tratta di un comunicato che riguarda episodi già accaduti ma il nostro intento è che sia un monito per qualche capo ufficio, accettando il rischio che possa diventare un processo alle intenzioni.

Stante l’annesso 14 ICAO, i sedimi aeroportuali civili hanno due soli varchi di accesso, uno pedonale e uno carrabile; tale limite non vale per gli aeroporti militari che hanno differenti esigenze di security.

Non tutti gli aeroporti nascono come civili ma alle volte alcuni aeroporti militari sono stati aperti al traffico civile, o sono stati ceduti all’aviazione civile o hanno una gestione, specie nel controllo del traffico, mista.

Un esempio è Pescara, nato come militare ma oggi civile.

Qui, gli aeronaviganti degli enti di Stato, lavorando in strutture ubicate in posizione opposta ai varchi di accesso civile, vi accedono da un terzo varco di accesso che porta esclusivamente agli hangar e che, unitamente ad essi, è in una zona enucleata dall’area sterile aeroportuale mediante reti recinzioni anti effrazione.

Per tutta una serie di ragioni che ora eviteremo di esporvi, a breve questa enucleazione verrà a cadere e si è pensato di proteggere l’accesso all’area sterile aeroportuale mediante cancelli agli hangar e tornelli all’interno delle strutture.

Tornelli e soccorso tecnico urgente o difesa dello Stato o pubblica sicurezza o tutela dei confini e delle acque  sembrano tra loro assolutamente inconciliabili… eppure poco si è fatto per trovare una differente soluzione, tranne qualche blanda rimostranza dei vari responsabili delle strutture operative dello Stato.

Nel reparto volo di Pescara si dovrebbero installare due tornelli, uno all’ingresso del corridoio di accesso agli uffici operativi, dove peraltro vi sono anche i servizi igienici e il lettore badge per le presenze del personale, e uno all’ingresso in hangar.

Voci di corridoio, insinuano che oltre ai tornelli si vorrebbero installare anche dei sistemi di video sorveglianza da remoto.

Questa volta, la nostra eleganza intellettuale ci spinge a non argomentare su attendibili voci di corridoio circa il posizionamento delle videocamere e a consentire, a chi sta valutandone il posizionamento, l’unica soluzione rispettosa del lavoratore… sempre che qualcuno non sia curioso di scoprire chi e quante volte al giorno va a fare pipì.

Benché l’art. 41 della Costituzione italiana riconosca la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro purché rispettosa della libertà e della dignità umana, la materia è oggi normata dal d.lgs 14/9/2015 n. 151 (jobs Act) che ha riscritto l’art. 4 della legge 20/5/1970 n. 300, più comunemente nota come Statuto dei lavoratori.

Fatto salvo casi di esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, l’installazione di impianti audiovisivi o altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori è vietata, fatto salvo il preventivo accordo sindacale o autorizzazione amministrativa rilasciata dalla Direzione territoriale del lavoro. Queste devono sempre precedere l'installazione dell'impianto e non solo la messa in funzione (Cass. Penale n. 4331/2014), per cui se l'impianto è installato prima dell'accordo si è in violazione dell’art. 38 della L. 300/1970, anche nel caso in cui i dipendenti siano stati correttamente informati. Il divieto di installazione di telecamere in assenza di accordo vale, quindi, anche per le telecamere "finte", montate al solo scopo dissuasivo e che non registrano dati. 

I limiti al potere di controllo del datore di lavoro derivano dal contrapposto diritto dei lavoratori al rispetto della loro riservatezza, della dignità personale, della libertà di espressione e di comunicazione. Da qui l'esigenza del contemperamento dei diritti contrapposti, e quindi della regolamentazione dei poteri del datore di lavoro, la cui disciplina è principalmente prevista dallo Statuto dei Lavoratori.

Bisogna poi ricordare che il datore di lavoro, nell'effettuare i controlli sui lavoratori, è obbligato a rispettare i principi in materia di tutela dei dati personali:

  • principio di necessitàil controllo deve risultare necessario o indispensabile rispetto ad uno scopo determinato ed avere il carattere dell’eccezionalità, limitato nel tempo e nell'oggetto, mirato e mai massivo;
  • principio di finalità: il controllo deve essere finalizzato a garantire la sicurezza o la continuità aziendale, o a prevenire e reprimere illeciti;
  • principio di trasparenza: il datore di lavoro deve informare preventivamente i dipendenti sui limiti di utilizzo degli strumenti e delle sanzioni previste nel caso di violazione di tali limiti;
  • principio di proporzionalità: il datore di lavoro deve adottare forme di controllo strettamente proporzionate e non eccedenti lo scopo della verifica; 
  • principio di sicurezza: i dati raccolti devono essere protetti in modo adeguato.

Quindi, nel trattare dati dei dipendenti, il datore di lavoro deve tenere ben presenti i diritti fondamentali dei lavoratori, e individuare correttamente la base giuridica di tale trattamento:

  • adempimento di obblighi derivanti da un contratto di lavoro;
  • adempimento di obbligazioni previste dalla legge;
  • interesse legittimo del datore di lavoro.

Per i trattamenti basati sul legittimo interesse occorre valutare preventivamente se il trattamento sia necessario e proporzionato per il perseguimento di una legittima finalità, redigendo la valutazione di impatto. In questi casi il datore è sempre tenuto ad assicurare ai dipendenti il diritto di opporsi al trattamento.

Alla luce di quanto esposto, la dirigenza della nostra amministrazione non può quindi invocare né buona fede e né ignoranza sulla tematica.

 Per il Consiglio Nazionale USB VVF

Carmelo GUARNIERI LABARILE