SALVATE IL MORRONE (E POI RITIRATEVI IN EREMITAGGIO)

L'aquila -

Da nove giorni fuoco e fiamme inceneriscono il monte Morrone, nel parco della Majella, e tra occhi chiusi delle istituzioni e orecchie tappate del dipartimento dei vigili del fuoco e degli immancabili carabinieri sono ormai centinaia di ettari di devastazione su cui ci tocca ragionare.

Il “cessate l’esistenza” dettato della riforma Madia all’ormai defunto corpo forestale e la gestione complessiva della macchina del soccorso di fatto continuano a mietere vittime boschive. Del resto c’era da aspettarselo e noi l’avevamo detto e stiamo continuando a dirlo. I cittadini che si costituiscono movimento, spontaneo ma necessario, cercano USB come unico interlocutore.  

Raccapricciante ma inevitabile che gli abruzzesi debbano rimboccarsi le maniche dopo aver inutilmente bussato a tutte le porte, comprese quelle della regione. Sì, è pur sempre la regione che gestisce tutto. A dirlo è una legge del 2000 che ne fa l’unico referente. Lo Stato si culla beato in tutto questo e si “limita” a sottrarle risorse e aiuti.

Seduti al banchetto della spartizione di beni, uomini e risorse il capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, prefetto Bruno Frattasi, e il patron dei Carabinieri, il generale Tullio Del Sette, all’inizio di quest'anno cominciano una trattativa dopo la lettura del testamento della Forestale. “Questo lo prendo io, quest’altro non te lo do”, ecco come i carabinieri hanno contrattato con i vertici dei pompieri, tornati a casa con un accordo che sa troppo di resa incondizionata.

Naturalmente a farne le spese sono sempre i cittadini che si ritrovano tra fuoco e fiamme dopo che terremoti e slavine gli hanno distrutto paesaggio, lavoro, speranze ma soprattutto futuro. I giovani rischiano la valigia di cartone e i sindaci delle varie fasce rosse sono sballottati a destra e a manca da Errani ritrovandosi con un bel pugno di mosche in mano.

In piena sindrome di Stoccolma i vertici del Dipartimento non attaccano l’Arma e non ammettono  nessun errore. Se ricordate, Rigopiano ne fu un tangibile esempio. Elicotteri che non si sono alzati in volo per colpa di una livrea ancora troppo verde e ritardi ormai accertati con responsabilità penali che non vengono ancora  attribuite a nessuno. Si sa bene che la legge è legge, ma qui troppo spesso viene applicata agli altri e solo interpretata quando riguarda se stessi.

Ora è tornato il tempo degli incendi che per colpa del terremotino ischitano non trovano spazio nell’interesse nazionale. Qualche sindacalista offre la sua spalla al governo lanciando slogan del tipo: servono uomini e mezzi. E le competenze? Ma chi se ne frega!

Tanto “lo Stato c’è, è presente, al gran completo in tutte le sue componenti, che tutte collaborano in sinergia e tutte lavorano nelle migliori condizioni», come ha detto a proposito del disastro del Morrone il comandante provinciale dei Vigili del fuoco, Domenico De Bartolomeo. E il dos responsabile delle operazioni di spegnimento teorizza addirittura che nove giorni di fuoco nel cuore dell’Abruzzo altro non sono che la natura che si riprende i propri spazi. Una teoria profonda, a lungo meditata. D’altro canto il tempo non gli manca, lui deve coordinare, dati orgogliosi della direzione regionale Abruzzo dei vigili del fuoco “squadre a terra composte da 14 vigili del fuoco muniti di 2 autopompe e di 2 pick-up e 14 volontari di protezione civile muniti di 4 pick-up”.

Il Morrone è costellato di eremi e grotte usati da Celestino V, magari se riescono a salvare qualcosa un po’ di alti papaveri potrebbero anche usarli per ritirarsi a meditare.

Da Sulmona è tutto, a risentirci al prossimo disastro.